sabato 27 dicembre 2008

Epitaffio

Ci sono state situazioni, a ridosso di momenti difficili, quando certe decisioni si impongono e non c'è compromesso possibile, nelle quali, cinicamente, ci si chiedesse quale fosse l'opzione migliore.
Cinicamente, e con scaramanzia, eravamo concordi che sarebbe stato meglio essere protagonisti di un brutto processo, piuttosto che di un bel funerale. Sono quelle circostanze che la maggior parte delle persone, fortunatamente, non dovrà vivere. Sono circostanze che capitano se fai certi lavori. E' uno sporco lavoro e qualcuno dovrà pur farlo. E giù le maschere dell'ipocrisia, prego. E via i perbenismi, i moralismi. I voli pindarci dei pensieri utopici disancorati dalla realtà. Gli ingenui pacifismi. I viziosi intellettualismi. Aderire al terreno, bisogna. Confrontarsi con la realtà delle cose. Pragmaticamente. In buona fede, contando sui propri princìpi.
C'è gente che pontifica e arieggia il cavo orale, al primo piano, nel salotto elegante, disquisendo e filosofando di morale e del tessuto della tapezzeria, facendo finta di ignorare che altri, silenziosamente, in cantina, spalano merda dalla fossa settica. Per il bene, ignorato, di tutti gli inquilini del condominio. I quali credono che la democrazia sia un bene dovuto, un diritto automatico. Non è proprio così. Siate coscienti, critici con voi stessi, prima di permettervi di puntare un dito. Non avete il dono del diritto di essere moralmente superiori.
Così, caro Stefano, oggi siamo stati al tuo bel funerale.
Avresti potuto lasciare la pelle in altre situazioni, in altri luoghi. Invece te ne sei andato in silenzio, di notte, nel tuo letto. La tua compagna ti ha scrollato ben bene la mattina, per non farti fare tardi al lavoro. Penso che non volesse credere che non c'eri, improvvisamente, più.
La tua compagna che si trova un bel siluro a due centimetri dal culo. Adesso che sei morto, e che la legittima è, per legge, la tua ex moglie. Alla quale pur volevi bene, penso. La quale godrà tutti i benefici. E se sarà magnanima, se si metterà una mano sul cuore, lascierà alla tua compagna almeno il diritto di continuare a vivere nella vostra casa. Altrimenti essa avrà perso, assieme al tuo amore, semplicemente tutto. E si troverà per strada. Son cose di donne, mi viene da dire. Eh già, mi spiace, ai maschi difficilmente succedono queste assurdità.
Caro Stefano, abbiamo litigato spesso. Senza mai portare un rancore. Sempre sapendo, sotto i baffi, di parlare la stessa lingua, di essere fatti della stessa pasta. Di rispettarci. Di capirci con uno sguardo.
Abbiamo lavorato a contatto per molti anni, sapendo di essere sempre parte della soluzione di un problema, godendo della fiducia che altri non avevano, permettendoci sempre di poter dire una parola in più, senza peli sulla lingua. E questo ci ha reso scomodi, difficili. Rispettati.
Le due lunghe file di nastrini sulle nostre uniformi raccontano una storia. Ne siamo orgogliosi.
Dal kosovo al Medio Oriente, le nostre mani, sulle reciproche spalle, per un arrivederci.
La base chiude trenta minuti dopo il decollo, Stefano, come sempre. Questa volta per te.
Ciao ragazzo.

martedì 23 dicembre 2008

Natale a vista













Questa immaginetta di un angolino di casa mia con Albero Di Natale su sfondo di strumenti di volo è il mio bigliettino d'auguri per chi dovesse trovarsi a passare di qui.
Auguro a costoro quanta più serenità possibile in compagnia delle persone a cui vogliono bene.
Passato Natale me ne andrò nella mia fredda casa fra i monti per stare qualche giorno assieme a mia figlia che da quando è iniziata la scuola ho visto solo due volte.
Poi, ritornando, dovrò pensare bene se continuare l'avventura di questo blog.
Avevo quasi già mollato là , poi mi sono detto che valeva la pena ritentare una volta ancora.
Tentare val sempre la pena, però bisogna anche prendere atto della realtà delle cose.
E la realtà delle cose sta nel fatto che non ho nessun riscontro.
Checchè se ne dica se uno apre un blog è perchè vuole condividere, interagire in qualche modo, tessere la trama di un dialogo non convenzionale.
Io scrivo per il blog, non per me. Ciò che scrivo per me, resta privatamente mio.
E, insomma, scrivere costa una certa fatica. Perlomeno, a me costa, dal momento che non pubblico, con rispetto assoluto s'intende, pensierini del giorno.
Mi piacciono le scaramucce e, se puntute e argute, anche le polemiche. Detesto questo vuoto spinto con al centro le mie letterine. Insomma, gente, il blog è moribondo perchè non viene praticamente letto da nessuno, forse da una persona o due ma non sono certo nemmeno di quello. Insomma, se le cose stanno così, no, non ne vale più la pena. Lo chiuderò ad inizio d'anno e non se ne parli più. Pazienza!
Un abbraccio agli allievi della squola di volo dal Comandante Jamiro

domenica 21 dicembre 2008

India Romeo India Alpha Lima kiss you goodbye




Stamattina la giornata era una di quelle perfette per volare. Dopo due settimane di cieli neri e pioggia e depressione atmosferica e d'umore.

Mattinata fredda e di cielo serenissimo, ne ho aprofittato per mantenere una promessa e portare un amico in volo.

Destinazione Portorose, Slovenia. Decollo, radiale 332° diretti al VOR di Ronchi, lungocosta, Trieste, cambio con la frequenza di Portorose APP, mare meraviglioso. La signorina in frequenza, con inglese di chiarezza eccellente, ci dice di riportare Capodistria e ci dà le istruzioni di avvicinamento per un lungo finale pista 15. Atterraggio delicatissimo, un'oretta al sole dell'aeroporto ed è ora di tornare a casa.

Questa volta decidiamo di fare una parabola sul mare via Viki (è un punto di riporto a ovest di Trieste e a nord di Portorose) salendo a 2000 perchè, con un solo motore, in mezzo al mare non si sa mai.

Bello bellissimo, tiro anche un paio di virate a 60° con la scusa di far fotografare a Piero un'imbarcazione sotto di noi. Chiaramente, con quell'inclinazione, il corpo subisce un'accelerazione intensa, e se non sei abituato senti lo stomaco scendere nelle scarpe, e non è facile tenere le braccia sollevate per fotografare. Piero è anche lui un pilota ma di ultraleggeri, così aprofitto per ingelosirlo con manovre che il "mio" aeroplano, certificato semiacrobatico, può fare in sicurezza.

Siamo contenti e appagati. Infatti imposto un circuito approssimativo, entro in finale coi parametri sballati e atterro come Paperino nei fumetti: con due bei salti da canguro.

Non lo sapevo ancora che quello sarebbe stato, probabilmente, l'ultimo mio volo con quell'aeroplano. Mi hanno comunicato che l'avrebbero portato da un'altra parte. Non più qui.

L'ho visto decollare, ritornare sulla pista per un ultimo saluto.

Charlie 150, amico mio, fratello. Padre. Meriteresti molto più che queste quattro righe.

Mi mancherai. E già so che mi capiterà, per abitudine, ma voglio sperare anche per affetto, su un altro velivolo di chiamare la torre di controllo con le tue marche, il tuo nome:" Ronchi tower, India Romeo India Alpha Lima, good afternoon..".

Come può succedere, agli inizi, soprapensiero, di chiamare la tua nuova compagna con il nome della tua ex moglie. Chi ne avrà a male non ti ama per davvero.

India Romeo India Alpha Lima, kiss you goodbye, my friend.

giovedì 18 dicembre 2008

Feuchtigkeit -umidità-





















Che belle le librerie sotto Natale. A Londra come a Toronto, a S.Maria di Leuca come a Udine. Mucchi, bancali di volumi, ressa di gente fra le pile e alla cassa.
Ebbene lo confesso, non frequento le librerie. Leggo pochissimo. In genere non compro libri. Ho letto tanto in passato. Oggi mi appassiono con la lettura di etichette alimentari, tabelle nutrizionali, in questo sono informato, sosterrei volentieri a tavola un'interrogazione sulla materia, con qualche barattolo o scatolotto scelto a caso da un commensale stupito.
Non frequento le librerie perchè sto male. Appena varcata la porta mi prende un'ebbrezza. Poi una frenesia. Sopraggiunge l'ansia. Mi tocca tacitare l'impellente urgenza di comprare tutto. E' un'esperienza frustrante, come un coito interrotto sul più bello. Le librerie sono luoghi meravigliosi, paesi dei balocchi. La frequentazione delle librerie è uno dei pochi vizi ai quali riesco a non cedere. Agli altri mi abbandono languidamente come una muchaca argentina al suo tanghèro nel caschè finale di un ballo sensuale. Senza riserve.
Della letteratura sono un fedele non praticante. Mi salva dall'inferno, per l'omissione della pratica, una curiosità fortissima che è un dono di natura (leopardescamente matrigna).
Pochi giorni orsono sono entrato nella bella libreria di un grande centro commerciale. Strenne, balocchi, decorazioni, signore e signori eleganti rendevano l'ambiente molto newyorkese. Chiedo l'informazione che mi serve e poi, dato che oramai ci sono, faccio un giro. Mi sento come un cane randagio affamato a cui si spalancano le porte della cella frigorifera, fra quarti di bue appesi, coratelle, trippe, biancostati. Riconosco molti titoli recensiti, altri mi attirano come i feromoni dell'ape regina soggiogano le operaie. Saltabecco senza criterio da un tavolo all'altro. Non comprerò niente, mi dico.
Poi, in lontananza, scorgo al vertice di una piletta leggermente più bassa delle circostanti, una copertina che si alza come la punta della scarpa di Alì Babà, una iperbole modesta ma significativa, che un acuto osservatore, e io mi ritengo un acuto osservatore, non può non notare. Le copertine con le orecchie, (ci ricordiamo le nostre vecchie care maestre, Gelmini ante litteram ?) vengono ai libri sfogliati frequentemente. Sfogliati, ho detto, e non letti. E quando le orecchie vengono ai libri nuovi significa che hanno attirato parecchi curiosoni.
Il libro in questione, fatti cinque passi mi era chiaro, è "Zone Umide" di Fraulein Charlotte Roche. Ahhh ecco l'nteresse, da dove viene. Avevo già letto alcune cose, tutte positive, mani dei recensori spellate dagli applausi, fanno a gara per sdoganare le visioni endoscopiche, i sieri e le secrezioni dall'antro del proibito e elevarle, finalmente, a espressione artistica, pur di non apparire conservatori o bigotti. Personalmente, quel tipo di scrittura, come metodo, mi piace. Mi piace la descrizione analitica, minuziosa, il protocollo anatomopatologico applicato alla scrittura, il processo descrittivo asettico. E' una piattaforma di lancio formidabile per poter poi colpire in profondità le sensibilità e, a volte, le coscienze. Dico questo, perchè mi interesso di bassa macelleria, e perchè devo secernere un muco che mi protegga dalle porcherie che andrò a dire.
La nostra cara Carosella, lei medesima, aveva intinto la sua elegante penna nel calamaio per parlare di questo libro complicato. Complicato da molti punti di vista, anche pratici, quali la sua collocazione nella libreria di casa sotto il naso dei nostri figli adolescenti. Il mio angolo monotematico, dedicato alle turpitudini, è abbastanza in bella vista affinchè mio figlio ne possa usufruire senza troppi sensi di colpa, che sicuramente proverebbe qualora dovesse ogni volta profanare il nascondiglio di papà per leggere le cose tabù. Così, nella libreria Ikea, a fianco di manuali di pilotaggio e strumenti di volo, assieme, trovano posto l'autobiografia di Rocco Siffredi, Tropico del cancro, L'altro lato del sesso, Sguardi di uomo corpi di donna -fenomenologia del seno nudo-, Indovina chi viene a letto (forse il più importante compendio scientifico divulgativo sulle fantasie sessuali), i fumetti di Milo Manara eccetera.
Leggo le prime tre paginette di "Zone Umide" e poi salto alla settantatrè, sono fatto così. Mi sono fatto un'idea, comunque. Mi piacerebbe leggerlo ma non lo comprerò, manterrò fede ai buoni propositi. Ah che belle le librerie inglesi dove puoi tranquillamente sederti sulle poltroncine messe lì apposta per i clienti. Sfogliare o leggere il tuo libro preferito per tutto il pomeriggio e poi decidere se acquistarlo o meno. Anni fa ad Oxford passavo giornate intere in questi luoghi confortevolissimi e silenziosi, con il mio bel mucchio di libri che avevo setacciato fra migliaia, accomodato in poltrona sotto una luce tenue. Ho passato fra le mani quasi tutti i libri di fotografia, quelli di anatomopatologia forense (per un periodo ho avuto la fissa), le pubblicazioni più impensate e strane.
Ci sono molte cose che mi scandalizzano. Ma per lo più non sono quelle che appartengono al comune senso della morale, intesa nel suo senso rigido e anacronistico. Non mi disturba la pornografia, intesa nell'accezione comune e lasciando da parte semantica e etimologia, anzi mi interessa e la frequento, purchè ci trovi qualcosa di stimolante. Penso che, per la gran parte, le si possano attribuire aggettivi come monotona, ripetitiva, meccanica, anerotica, stereotipata. Ma il mare è magno e occorre saperci navigare dentro. Dal punto di vista del vivere, invece, trovo un tipo di pornografia assai interessante: la pornografia intellettuale e sentimentale. Che può avere attinenza pressochè nulla con la sessualità. Dove voglio arrivare?
Tempo fa ho scritto un raccontino breve. Mi frullava nella testa da tempo e una successione di avvenimenti è stato il pretesto per scrivere in un lungo pomeriggio un paio di paginette. E' stato un esperimento non facile. Mettermi alla prova al limite della mia immaginazione. Scrivere una storia pornografica a trecentosessantagradi, portarmi sul baratro. L'ha letta, la storiella, una sola persona e il feed back non è stato positivo, credo che sia rimasta scioccata, per vari motivi. Non è scritta un gran che bene, in effetti, ma quello che mi interessava era il parallelismo fra, come scrissi, "una pratica sessuale estrema e improbabile e una pratica sentimentale, invece, purtroppo, quella sì, assai probabile". Qual'è la vera pornografia? Cosa urta di più? La storia è dura, durissima. La terminologia pure.Può evocare fantasmi, provocare repulsione, eccitazione ma, alla fine, ci sarà la possibilità di raggiungere l'hard core, nel senso di nocciolo della questione passando per il bancone del macellaio? O bisogna per forza rispettare l'etica di buoni-buonini-cattivini sentimenti? L'esperimento mi sembrava fallito e pertanto abbandonato.
Ora esce questa ragazzotta tedesca che sulle sue secrezioni corporee e sulle sue emorroidi costruisce un best seller, vende una montagna di copie, fa parlare di se -complessivamente molto bene- e dal suo sedere i lettori raggiungono l'hard core, il nocciolo della questione narrativa e filologica . Bene benissimo.
Detto che non sono un esibizionista (cioè solo per quel quid che accomuna i bloggers). Detto che nè mi posso o voglio paragonare con la Signorina Roche sul piano artistico. Detto che sono un cialtrone. Detto che provo vergogna (eh sì, da piccolo ho fatto il chierichetto). Però qui si prova che il mio esperimento non era del tutto sbagliato, mi sembra. Vorrei una conferma.
Io vorrei postare quel raccontino. Ma lo farò solo se la maggioranza di quei quattro gatti che leggono il blog (e sono proprio quattro di numero) me lo consentiranno. E mi daranno gentilmente un cenno esplicito. Eppoi un commento che non siano le solite espressioni monosillabiche (e che per quello non pubblico). Il contenuto non è adatto ai minori e, per questo, se lo posto, resterà in evidenza solo per alcuni giorni affinchè possa essere letto e poi rimosso.
Non mi sono mai posto in maniera interattiva sul blog, non ho mai chiesto interazioni. Lo faccio questa volta e potrebbe essere l'ultima (non è una minaccia).
Buon Natale a tutti,
Jamiro

martedì 16 dicembre 2008

Hanna e i suoi fratelli - parte 4/A - (sottotitolo: la luna e la cometa)




















Gironzolo come una mosca fra i vicoli, alla ricerca di un parcheggio, negli spazi oppressi dalle facciate chiuse, sul lato B, sporchino e deprimente dei grattacieli accostati, nel retrobottega della luminosa, caotica, trading avenue, la Quinta Strada.
Trovare un parcheggio alla distanza minore possibile dalla mia destinazione è un fatto essenziale. I quasi cinquanta gradi di temperatura, l'aria viscida d'umidità, impongono di calcolare bene le distanze da percorrere a piedi. Non è solo questione di sudore che incolla la maglietta alla schiena, le suole di gomma all'asfalto, in un minuto. Sono anche piccole dolorose piaghette che tendono a formarsi sul perineo, nell'afa tropicale che si crea fra le chiappe e lessa le mucose e la pelle là dov'è più delicata. Abluzioni con saponi all'avena colloidale e accurata asciugatura con salviette fresche alleviano il fastidio. Sono il malessere che senti come un mattone sullo sterno, la debolezza fisica che ti affloscia rapidamente. La giornata operosa è un continuo pellegrinaggio fra un ambiente climatizzato e l'altro, collegati da scale mobili che scendono all'inferno e poi risalgono.
Habib Exchange ci è stato consigliato, fra la miriade di altri, per la vicinanza, la relativa facilità di parcheggio in questa città caotica, e per il cambio favorevole.
Mi pagano in Euro, una buona parte direttamente in conto corrente, un'altra in contanti da cambiare sul posto, settimanalmente. Vale anche per gli altri italiani che lavorano qui con me. Io e Little Breast scendiamo dall'auto e zigzaghiamo fra le altre parcheggiate, cercando di raggiungere speditamente il varco che si apre sulla Quinta.
Little Breast è il suo nik name operativo. L'ho conosciuto qui. Romano, prossimo alla pensione, l'hanno mandato per premio. Premio per lui, evidentemente, croce per me che devo assisterlo. E' un bravo diavolo, un pò romanamente sbruffone, ma ha un cuore generoso. Dopo tante battaglie, litigi a voce alta, incomprensioni, devo riconoscerglielo. Dunque, con Little Breast ho diviso per un bel periodo la camera d'albergo e torride notti al lavoro. Il problema è che lui non era minimamente skillato per l'attività che dovevamo svolgere in team. Non sapeva neanche accendere il PC. Inglese zero. Procedure operative zero. Situational awareness zero. Un pesce fuor d'acqua. Nel suo lavoro probabilmente è un mago, anzi, di sicuro. Ma qui siamo contati e lui è un peso piuttosto che una risorsa. Avrebbero dovuto rimandarlo a casa con il primo volo disponibile.Dura da digerire per uno a fine carriera, soffriva come un cane. Ha fatto progressi quasi miracolosi, in qualche modo, alla fine, riusciva a lavorare al PC, limitare gli incasinamenti, mandare baci e abbracci al cellulare, in inglese cuneiforme, ad una puttana siriana conosciuta in un locale.
Io sono il badante di Little Breast. Gli leggo i menù dei ristoranti, lo accompagno al barber shop, lo accompagno ovunque, a fare shopping, traduco tutto. L'handicap della lingua è una spessa barriera fra lui e la città. Una notte mi tocca anche portargli in camera, dietro accorata supplica in ginocchio, con l'occhio umido d'agnello, due -esatto, due- hostess, una ukraina e l'altra turca, una bionda e l'altra mora, tutte due altre tre metri. Ha buon gusto Little Breast. Gli ho chiesto se dovevo rimanere per tradurre gemiti e sospiri e questioni tecniche relative all'amplesso a tre, che pur richiede un pò di disciplina. Mi ha spinto fuori dalla camera con ferma risolutezza. Con lo spazzolino da denti in mano sono salito di qualche piano a farmi ospitare dal buon Lillo, che non mi ha fatto chiudere occhio per il suo russare. Assolutamente scandaloso. Il russare di Lillo.
Little Breast era arrivato in Medio Oriente, qualche tempo prima di me. L'ho trovato gentile e discreto, spaesato, alla ricerca di qualche riferimento certo come chi non è abituato ad essere via da casa, abitudinario come un uomo sposato da trent'anni. In effetti è stato sposato almeno trent'anni, i figli cresciuti, la moglie l'aveva lasciato da poco e, nonostante le speranze di lui, dai suoi discorsi traspariva, inconsapevolmente, la certezza che non sarebbe più tornata. Le mogli ci mettono trent'anni a decidere, talvolta, poi non tornano proprio più. I messaggi che lei avrà mandato, i discorsi, le preghiere, saranno scivolati sulle abitudini di lui, fondate sulla certezza che lei c'era, ci sarebbe sempre stata, e dove mai avrebbe potuto a andare cinquant'anni suonati?. Da sua madre. Sarebbe andata da sua madre. E buonanotte al secchio.
E lui era avvilito. Tagliato fuori dalla vita. Per aver vissuto, parallelamente a quella vera, la vita virtuale del matrimonio, della sicurezza delle abitudini, della certezza del piccolo mondo familiare, senza mettersi in gioco più. Quando questo piccolo castello si disfà, il mondo là fuori fa davvero paura. Fiumi senza ponti. Strade senza indicazioni.
Gli ho detto:"no, guarda, tu conciato così con me non esci". Gliel'ho detto con affetto, nonostante lo conoscessi da un paio di giorni. Siamo risaliti in camera a setacciare il guardaroba. Si era presentato con una camicia scozzese da boscaiolo, intruppata dentro jeans ascellari, mocassini ai piedi. No, guarda, così va benissimo se mi vieni a trovare fra le mie montagne, nella mia terra rurale e concreta. Qui devi aggiungere l'effimero, sforzarti di sentirti figo e dinamico. Così diventerai figo e dinamico che è quel che sei, se vuoi. Nel giro di qualche mese, grazie alle frequentazioni di giovani colleghi, nuove amicizie, un rinnovato senso di self confidence, Little Breast è diventato irriconoscibile. Il beniamino di tutti. Uomo alla gran moda, ciondoli al petto, camicie aperte fatte su misura da Select Tailor, il nostro sarto indiano sosia di Omar Sharif, jeans rotti, flip flop di cuoio, abbronzatura alla Briatore. Soprattutto sicuro di sè, spavaldo. La figlia venuta a trovarlo, scesa dal taxi si è messa le mani nei capelli: "no papà, non puoi essere tu!".
Questa tirata a lucido esteriore si era sommata alla sedimentazione stratificata di un'educazione d'altri tempi che lo rendevano un Gentleman. Puttane a parte.
Per dire il vero, mi aveva confidato che non faceva l'amore da tre anni. Abbiamo convenuto, unanimemente, fra colleghi, che gli ci voleva una scopata con i fiocchi, per scrollarsi di dosso tristi fantasmi e ragnatele. E, essendo il mercato del sesso, negli Emirati, un'industria così fiorente da venire subito dopo petrolio, oro e pietre preziose, venute meno le sue comprensibili remore, dopo un pò, Little Breast ha dato inizio a una stagione degli amori, seppur mercenari, degna di un Re della Foresta.
La bella signora turca che gli fece visita la prima volta, the very very first time, che accompagnammo fin sulla porta, e alla quale era stato richiesto di essere soprattutto gentile, andandosene, riferì che lui era stato dolcissimo. Che il rapporto si era concluso in cinque minuti. Ma che poi lui l'aveva abbracciata e accarezzata fra i capelli fino ad addormentarsi entrambi. Da lì a breve capimmo di aver liberato dalle catene un mostro. Mi ha confidato qualche mese fa, a distanza di tanto tempo, di aver vissuto laggiù l'esperienza più bella della sua vita. Il caro amico Daniele, che l'ha visto di persona, mi ha detto, con una vena triste nella voce, che Little Breast, purtroppo, è un pò regredito. Ha riacquistato alcuni degli anni di vita di cui si era faticosamente liberato. Il ritorno alla vita normale, quando torni dallo spazio siderale, non è mai indolore.
Ad ogni modo non mi piaceva dover cedere la camera ad ogni piè sospinto, cercare ospitalità altrove, far cambiare la biancheria a Mùstafa nel dubbio, dopo aver trovato una volta un perizoma abbandonato fra le mie lenzuola. E poi, anche senza le amichette di Little Breast, non mi era facile riposare. Lui russava. Mi svegliavo e nella penombra vedevo la luna fosforescente stagliarsi sul candido copriletto di morbidissima piuma del letto a fianco, nella nostra king size room. Era il culo tondo di Little Breast che aveva preso a dormire nudo.
Visione angosciante. Ti prego mettiti le mutande.
Niente da fare.
Allora gli ho raccontato la storia.
L'ho raccontata a tavola in un dopocena rilassato, affinchè potesse essere ancora più subliminale il messaggio che stavo inviando.
La storia è storia di gioventù, avevo vent'anni. Ero innamorato di una ragazza, che poi ho anche sposato, e che si trasferì per lavoro a Lugano. Io lavoravo a Treviso e facevo la spola con Lugano ogni week end. Padova Vicenza Verona Bergamo Milano Varese Chiasso Lugano andata e ritorno. E nel mezzo baci, coccole, notti insonni, discorsi, far l'amore a spron battuto, dormire neanche a parlarne. Una faticaccia. Tanto che, ad ogni ritorno mi ripromettevo, risoluto, la prossima settimana no, riposo. Il buon proposito rimaneva solido fino al martedì. Poi cominciavano ad insinuarsi la pulce del dubbio, il tarlo del desiderio. La voglia di riabbracciarla. Venerdì partivo per Lugano facendo fischiare le gomme. Once again.
Fu in uno di questi ritorni, sarà stato la fine di un giugno caldissimo, che successe il fatto. Tornai distrutto. Arrivai nell'alloggio che condividevo con Vincenzo verso le nove di sera e stramazzai sul letto forse ancora vestito o quasi, lasciando la borsa tale e quale sul pavimento. Vincenzo è un giovanottone simpaticissimo, bello tondo e con il faccione che praticamente è John Belushi sputato. Siamo amici. Torna anche lui dal week end fuori, la domenica sera tardi. Lo sento anche per un attimo, accende la luce, mi vede nel letto e, con grande senso dell'educazione, rispegne subito. Fa le sue manovre al buio e si mette a letto, lenzuolino di cotone, finestra aperta. Afa che il Sile a pochi metri di distanza, non mitigava affatto. Io dormo come un sasso.
E poi sogno
Sogno da stanchezza. Sogno che lì nella stanza, nell'altro letto, nuda, c'è la mia ragazza. Incoscientemente mi alzo. Mi denudo completamente. Con il turgore dei miei vent'anni che puntava irriverente al soffitto, come un Moschetto da Balilla. Circumnavigo il mio letto diretto dalla mia amata. Ne sento il profumo della pelle, ne assaporo già il sapore, il suo desiderio caldo e umido. E' un momento bellissimo. Alzo il lenzuolino per sdraiarmi al suo fianco e abbracciarla. La voce tremula e fioca di Enzo rompe l'incanto: "che cazzo fai?". Enzo dalla paura ha assunto la posizione fetale, è rimpicciolito fino quasi a scomparire nel letto. Io ricordo un'angoscia che mi assaliva dallo stomaco e saliva sù. Cercavo di capire cosa stesse succedendo. In piedi, nella notte della stanza, la mia figura e quella del mio pene proiettavano un'ombra mostruosa e irreale contro il muro illuminato dalla luce della luna. Avrei voluto sprofondare. Ma, ne sono certo, quell'erezione impudica, mi avrebbe impedito perfino quest'uscita di scena indecorosa, come fosse un ramo proteso sulle sabbie mobili.
Enzo è un amico, gli offro caffè da vent'anni, per comprarne il silenzio.
Da quel racconto, da quella confidenza rivelata, Little Breast, uomo d'altri tempi, legato alla tradizione e rispettoso, della leggenda e vieppiù dell'epica, si è rimesso indiscutibilmente le mutande.

giovedì 11 dicembre 2008

Mi Ritorni In Mente Habib
















La squola di volo, dopo un avvio promettente, ha rischiato di chiudere i battenti.
Colpa della recessione.
Recessione della mente negli anfratti profondi.
Segno negativo del PIL dello stimolo.
Amnesia e distrazioni.
Pericolo di DEFAULT, la parola terrorifica dei mercati della finanza creativa. Fallimento.
Il termine creativo mi dà piuttosto noia, come un foruncolo sul culo. Così m'annoia la cucina creativa. Coi gusti strani, obbligatoriamente strani, è facile nascondere le magagne. Chi può dire che dietro la ricetta thaitiana non si nasconda una porcata raffazzonata?
Chi mi vuole sfidare lo faccia con i ravioli di magro fatti in casa. Non con le cagate creative.
Comunque, il pericolo, aihmè, non è del tutto scongiurato.
Anche quei pochi allievi del corso di volo erano distratti. Non capivano, infine, che prima di mettere mano alla cloche, bisogna studiare la teoria, venire preparati alla lavagna.
Fare tesoro, e anche critica, di ciò che l'istruttore dice.
Partecipare alle lezioni.
E la mia aula era miseramente vuota.
Ma non ci sono cattivi allievi, solo cattivi istruttori.
Quindi mi devo assumere le mie responsabilità.
Oggi, però, un segno.
Dopo una lunga notte al lavoro, stamane, già in pigiama, sono uscito sul balcone, berretto di lana ficcato sulle orecchie, caffè riscaldato e sigaretta.
Guardavo semplicemente la pioggia cadere.
Non pensavo a niente.
Poi, di colpo, Habib.
Mi sono sforzato tutta l'estate di ricordarmi il nome del cambiavalute sulla quinta strada, ad Abu Dhabi, dove lavorava Noemi.
Non c'era verso. Non avrei scritto di Noemi, allora.
Habib Exchange. I got it.
Beh è un segnetto. Forse scrivo forse.

lunedì 25 agosto 2008

svendita patrimoniale e sentimentale (love doesn't match)


Scatola di cartone con lenzuola e federe, alcune di flanella.
Porta di frigo e freezer aperta, con straccio sull'orlo a fermare lo sgocciolio dello sbrinamento.
Prova generale di partenza.
Non di fine vacanza però.
Mi costa una gran fatica non cedere alla tristezza.
Per adesso non stacco il contatore.
Casa tenuta in vita artificialmente.
Senza alcun accanimento terapeutico.
Però.

domenica 17 agosto 2008

La ragazza dei conigli















Conosco una ragazza che lavora in un circo.
Nel suo motorhome ci sono drappi hippy, arancio psichidelico, geometrie rotonde di tendine ai finestrini.
Quando non lavora indossa lunghe gonne gitane e camicie di cotone bianco dalla trama fitta, con i pizzi di S.Gallo alle maniche e al colletto.
Camicie della sua amata nonna che non è mai uscita di casa se non per le feste comandate, ma che se avesse potuto, avrebbe anche lei voluto andare via con un circo di passaggio, sposare un domatore armeno di cavalli arabi, farci spesso l'amore, diventare lei stessa domatrice di qualche fiera esotica.
Artisti di circo non si diventa.
Nè viaggiatori del mondo.
Interpreti di nervature di foglia, di ossa di pollo, di fondi di caffè, nemmeno.
Melomani irrequieti, spaventati, stupiti, estasiati dai suoni e dai silenzi della natura e delle persone, non si diventa.
Si è.
Talvolta immoti nel perimetro di una poltrona rivestita di ruvido tessuto, nell'angolo in penombra, con le punte appena, delle pantofole di feltro, illuminate dalla luce che disegna la prospettiva della porta finestra sul pavimento di legno.
Di una stanza al terzo piano. Dentro una vita all’ultima fermata d’ascensore.
Esploratori dell'entropia cosmica, della giungla lussureggiante, misteriosa e pericolosa delle proprie menti. Ci si nasce.
Emilio Salgari ha scritto un'ottantina di romanzi d'avventura, ambientati nei più disparati angoli del mondo, dal Mar dei Sargassi alla Malesia, fino alle rocce rosse e ai deserti dell'Arizona e della California. Ma non si è mai mosso da casa sua a Verona.

Conosco una ragazza che lavora in un circo.
Nel suo motorhome ci sono un certo numero di conigli bianchi che saltano da un mobiletto all'altro, al letto.
Talvolta, se qualcuno la va a trovare, loro abbassano le lunghe orecchie e si mettono immobili, a gruppi di tre, fra le gambe del tavolo e la cassapanca dei costumi.
Possiede alcuni cassetti degli oggetti strani, dove conserva le medaglie vinte sui pattini da ragazzina campionessa, strisce di pellicola impressionata, vibrisse di un vecchio gatto, tappi di penne che non scrivono più, legnetti del pesco e acini di uva americana seccata del giardino dei nonni paterni, penna d'ala d'oca finita mangiata, scatolina di puntine da disegno, scatolina di semi di mela, di pera e d'anguria, scatolina vuota di mangime per pesci da odorare ogni tanto, pezzo di gesso della lavagna rubato in seconda elementare, ritaglio di calendario delle prime mestruazioni, calendario di un anno in cui c'erano soltanto i giovedì. Foglie secche, pietre, perline, bottoni, agendine, bigliettini, pensierini. Lettere. Oggetti dei batticuori.

Conosco una ragazza che lavora in un circo.
A lei piace far finta di essere stata rapita, bambina, da questa eterogenea banda girovaga, strappata ai lussi della sua casa ordinata, alle perlustrazioni nel campo di grano dietro al giardino, al marmo freddo sotto al sedere dei gradini della scala sopra ai ciliegi, al pane e zucchero condiviso con la gallina ingorda, e alle gocce di acqua d'anguria rossa che colavano dalle ginocchia ossute, lungo gli esili stinchi, sui calzini bianchi, nei sandalini di vernice.
A lei piacciono la spensierata inconsapevolezza dei suoi conigli, le lusinghe della Regina di Cuori e del Fante di Spade, le promesse della gente del circo di arrivare, un bel giorno, a Karthoum, erigere campo e tendone ai margini della città. Vedere le donne colore dell'ebano, dalla pelle compatta e senza imperfezioni, figure longilinee ed esili come ombre stirate, scure, nell’orizzonte d’ocra.
Naturalmente lei volteggia al trapezio, altalena dei grandi, dove si sale con la fantasia dei bimbi, dove i movimenti sono calibrati , una pozione di estro, allenamento costante, concentrazione e cuore.
Dove il volo, seppur breve, fra una sbarra e l'altra, è perfetto come quello di un uccello.
Le piace che la guardino, che ammirino la sua leggerezza, le serve compiacere la vista degli spettatori che per quegli attimi volano con lei. Senza invidiarla nè toccarla.

Conosco una ragazza che non conosco.
Conosco certi fiori del giardino dei suoi pensieri, gli oroscopi che trae nelle sere di vento, mare, odore mite di noce moscata.
E' un paradosso sfruttato con frequenza, al cinema, in letteratura.
In certi momenti mi pare di conoscerla talmente bene da non sentire più il bisogno di conoscerla.
D'altro canto, paradosso speculare e rovesciato, vero dolore è quello provocato dal non conoscere una persona che si conosce.
Per esempio una madre che non conosce il figlio che conosce. O una moglie. Che non conosce il marito che conosce.
Che c'è di peggio? C'è da sperare, nel caso, che si abbia l'opportunità di continuare a non conoscere chi si conosce.
A scanso di brutte sorprese.
Conosco una ragazza che non conosco. Ne conosco gli umori e le fantasie.
Ne conosco le debolezze e le contraddizioni. L'arroganza e l'imperio. Ne conosco la generosità e la dolcezza che scorre come un ruscello carsico, sotto uno strato di roccia calcarea .
Quanti fra quelli la conoscono almeno quanto me?
In quanti, dietro falsi sorrisi e ipocriti complimenti la detestano? Non lo so.
E' fragile come ogni donna cui è demandato il dovere di essere forte. Sarai Regina. Che tu lo sia. Di te stessa.
Lei punta alla meta, severa e austera come un Gesuita, dalla fede non negoziabile. Fede di sentimento e di morale.
Architettura di un'esistenza. Che non gli tocchi mai di cadere, sotto l'assedio costante, come successe alle mura di Gerico.

A quanto ho capito, si fa consigliare dalla donna barbuta, che chiama zia ed ha sempre una buona parola e un conforto per lei, nei momenti difficili.
Quando ha paura si fa ritrosa, sfila lungo la linea ideale della recinzione con il collo fra spalle e scapole, come un felino di cui è, sguardo e diffidenza, imparentata.
Gli vogliono sinceramente bene in tanti, ma è dai clown,con le lacrime e i sorrisi dipinti che si deve guardare.
A quanto ne so lavora in un circo, felice della sua casa su ruote, con gli accostamenti hippy, con i suoi conigli bianchi che le tengono compagnia, con i suoi libri e i suoi cassetti delle cose strane.
Viaggia di notte, il carrozzone, che ad ogni mattino, aperta la porta, un nuovo scorcio di mondo possa illuminarne il viso.
Le piace sentire l’odore fresco di sapone del bucato steso ad asciugare, il rumore della pioggia che batte sui finestrini, il tepore delle lacrime calde che sciolgono un nodo e portano via una tristezza o una malinconia.
Come lo scorrere della striscia bianca sull’asfalto porta via da un luogo per una nuova dolce nostalgia.
E che il senso del viaggiare, si sà, sta nel viaggio. Mica nella meta.

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
(Vincenzo Cardarelli)

martedì 12 agosto 2008

Provo a entrare in paradiso (prima che chiudano la porta)

piano pianino...senza fretta..e con le cuffie...più volte.

Chi è immune a questo sortilegio, beh peggio per lui, è una sorta di anorgasmia cerebrale.

Caramelle da Una Sconosciuta (The Fisherman's Friend)




















Le cose andarono più o meno così.
Piena estate vacua e mi piacerebbe poter dire remota.
Estate bizzarra di consistenti cambiamenti climatici.
Dai 49° del Golfo Persico ai 4° delle Dolomiti orientali.
Estate fredda e piovosa, di scrosci, cumulonembi a groppi e venti gelidi da nord.
Per un pò anche bora triestina, chiara.
Estate difficile da sopportare da soli.Improvvisamente e (quasi) inaspettatamente da soli. Estate di grande melanconia.
Decido di gridare il mio dolore sul Web piuttosto che alla luna che mi guarda con espressione beota e non mi commisera neanche un pochino.
Il Quinto Canto dell'Inferno mi sta a pennello, sono proprio io. Mi sento una Drag Queen ma molto meno sguaiata. Avrei voluto una maschera di Diabolik.
Fra le 23.00 e mezzanotte, buco nero al centro del lettone, sfrutto la poca energia rimasta per ricaricare con l'home banking la mia carta di credito revolving.
Iscrizione immediata e a pagamento per tre mesi ad un notissimo portale per cuori solitari. Eccomi, ci sono. Adottatemi a distanza. Aiuto.
Spoiling delle ventenni e delle cinquantenni, rimangono in ballo le trentacinque-quarantacinquenni. Limito l'area geografica al minimissimo.
Non pongo invece limiti morfologici. Ancora un esercito di amazzoni, Dame di S.Vincenzo, spigolatrici, nubili e ex è là che attende qualcosa.
Il nik è un ottimo buco della serratura per spiare e farsi un'idea. Fra Fiorellini di Campo, Micie Fru Frù, Speranze Intatte, Belle e Monelle, Arie Limpide, Dolci e Cremose, Tenere e Lunatiche, Anto71, Mary64, Gigia70, Occhi di Giada226 (nik inflazionatissimo) e Scorpioncini Amorosi, mi viene da piangere, ma non per i loro nomi assurdi. Sono io che barcollo e tracollo.
Leggo un pacco di annunci, guardo altrettante fotine sorridenti o tristi o buffe. Non so decidermi, è l'effetto mega store di calzature, ce n'è troppe per poter operare una scelta ragionata. Meglio il negozietto all'angolo: 3 paia e lì si che scegli bene. Ci sono delle fiche da copertina glamour (ma che ci fanno qua?), scartate per direttissima e senza appello. Non avranno me fra le schiere di gatti randagi che gli corrono appresso. Ci sono anche delle cozze senza speranza ahiloro. Decido di non decidere, al momento. Mi serve una persona per parlare. E dato l'argomento questi deve essere esente da pippo e palline.
Scrivo tre o quattro mails che sono una il proseguio dell'altra ma che funzionano anche per conto loro, come gli episodi di Sex and the City. Le destinatarie, data l'ora, dormono. Ignare.
Ognuna delle persone con cui sono venuto in contatto merita una carezza affettuosa.
Per la dolcezza e la pazienza con la quale mi hanno ascoltato. Per aver aperto a me una finestra nel giardino della loro vita, dei loro segreti, dei loro amori.
Dei loro dolori. Dei loro disincanti. Della loro voglia di vivere.
Alcune di queste donne le ho incontrate. Altre no.
Qui voglio raccontare il più prosaico e bizzarro degli incontri che ho fatto mer mezzo di Internet e che mi ha fatto riflettere, sorridere. E mi ha fatto sentire un bel mona, infine.
Dunque, lei, nik da frutti di bosco e wilderness, poco più che quarantenne, risponde poche righe gentili a una mia mail delirante. Credo di avergli scritto a causa del suo annuncio simpatico e ironico che concludeva circa con "...e coloro che intendono pucciare il biscottino, sappiano che la caffetteria è chiusa". Ipse dixit.
Scambio a stretto giro di posta di alcune mail, una serata anche in chat.
Ma io la chat non la sopporto perchè assorbe troppa attenzione a pigiare in fretta sulla tastiera, mi sento un criceto sulla ruota, sempre lì ad inseguire un argomento sul quale un interlocutore è in perenne anticipo e l'altro in affanno che non ce la fa a tenere il ritmo e rincorre a tre battute di distanza. Impossibile approfondire.
Sul frame violetto-lillà compare il suo numero di telefono. Peraltro non richiesto.
Argomenti futili e ironia, la ragazza è molto sveglia, ha la battuta facile e la lingua tagliente, per nulla scontrosa, per nulla ritrosa, matura si direbbe. Naturalmente anche lei figlia delle pene del cuore, ca va sans dir.
Abita sul lungomare del nord est, città strafrequentata da vacanzieri estivi. Ma piove a scassafottere, le strade sono ben allagate, ed io sento quasi solo lo sciabordìo dei miei pensieri che fanno schiuma di cavalloni, di mare verde salvia e cielo nero e melanzana. Nella mia testa. Sto male.
Mi invita da lei. Ad un'ora abbondante d'auto.
Un pò di trattativa e ci accordiamo per un pomeriggio.
Per conoscersi, chiacchierare, passare una serata. Ho pensato che male non mi avrebbe fatto, anzi, era quello che volevo, no?
Indosso jeans, i miei adorati stivali di cuoio da cow boy, una camicia e parto. Con l'innocenza di una giovenca che sale sul camion del mattatoio convinta di andare ad un pic-nic.
Mi fermo al bar dalla Lucia, donna piccola e così energica, sbrigativa e buona consigliera, ho voglia di un caffè prima del viaggio.
La Lucy cara, mi mette una dose generosissima di splendida schiuma nel caffè per rinfrancarmi, dato che è al corrente delle mie disgrazie sentimentali, e quando sto per bere mi arriva un messaggino.
Toc toc. Chi è? E' Miss frutti di bosco natura selvaggia.
"Non serve nemmeno dirlo..portati un cambio di biancheria! (...)". Giuro che non capisco. Non capisco così nettamente che mi sento in dovere di chiamare e chiedere lumi sull'intendimento.
"Ma va, cretinetto! Cos'hai capito..è che con questa pioggia se andiamo da qualche parte e ti inzuppi hai almeno da cambiarti!"."Aah, ecco, sì, capito".
Qualcosa mi sfugge.
Ma anche se tornare indietro a prendere maglietta e mutande mi sarebbe costato solo cinque minuti, non lo faccio. Non vedo motivazioni adeguate e sufficienti a supporto.
Lei è una panterona con occhi da panterona, qualche chiletto fuori forma e un petto strepitoso. Esagerato. Sesta piena, mi dirà poi. Gentile e cordiale, vive sola. Senza un gatto.
Grande chiacchierata, svisceriamo ognuno le proprie peripezie sentimentali, scopriamo di conoscere gente in comune, mi fa vedere i lavori che sta facendo a casa e poi andiamo a mangiare la pizza. Tutto regolare, tutto a posto. Mi tranquillizzo e, in fin dei conti, sto bene. Non mi viene in mente altro.
Lei sbrana la pizza che ha ordinato al tavolino all'aperto protetto da tettoia, indossiamo i giubbotti perchè il clima è davvero ingrato. La pizzeria è semivuota, nonostante la stagione.
Io mangio poco perchè il mio stomaco è strizzato da un periodo. Beviamo anche un paio di limoncelli.
La pizzeria è a due passi da casa sua, percui per il caffè decide di invitarmi su, che quello del bar le da disturbi. Bene. Nel frattempo saranno state le 22.00.
Quando ha tirato fuori dallo stipetto del bagno un mazzo di spazzolini da denti, rigorosamente nuovi e confezionati, per farmi scegliere, mi è venuto qualche dubbio.
Ma non avevo fatto nemmeno tanta resistenza al suo invito a rimanere a dormire là. Sembrava tutto pacifico. Nessuno aveva manifestato interesse evidente per l'altro.
Poi, dopo il caffè e le chiacchiere che si prolungavano e ancora un paio di bicchierini si era fatto davvero tardi. C'era un tempo davvero di cacca. Lo 0.5 x1000 di alcool l'avevo superato senza dubbio alcuno.
Va bene, resto. Grazie.
Ama il jazz. Jazz ordinato non il free. Mette su un cd a volume basso basso.
Nel mini, sul divanetto non potrebbe dormire nemmeno un reduce da crociera Tunisi-Lampedusa in barcone. Inauguro lo spazzolino da denti nuovo di zecca, mi metto in mutande e maglietta e m'infilo nel lettone, dal mio lato. Lei dopo un pò appare dal bagno sulla porta di camera in camicia da notte di cotone. Scioglie la coda di cavallo. Scena surreale. Ma non è una scena di Casa Vianello. Penso che vorrei avere una Gazzetta dello Sport da leggere (mai letta in vita mia) e per lei un romanzo di Cavalieri e Draghi.
Si sdraia sul letto e le sue tette ondeggiano perigliosamente. Ha ancora voglia di chiacchierare.
E il tempo passa piano piano. E si fa tardi nella notte.
Pian piano sposta il discorso sull'erotico-ironico. E' divertente a tratti. Mi racconta del figlio di una sua amica che ha un locale e si scopa le turiste. Durante il giorno le rimorchia. Alla chiusura del locale le porta al piano di sotto e lo fanno sul biliardo. Gli altri dipendenti osservano la scena dal circuito chiuso di sorveglianza. Lo spettacolo pare che vada in scena con assiduità. Lei ride e mi dice "varda 'ste quarantenni di adesso, ci sono di quelle troie in giro!". Glisso. Poi mi racconta di un amico gay che ha insegnato a lei e ad alcune amiche l'ebbrezza frizzante del sesso orale eseguito sul partner tenendo in bocca una caramella Fisherman's Friend. Una esperienza da provare a tutti i costi. Io sono incredulo e anche un pò preoccupato. Mi accarezza il petto in modo materno e leggero. Quando tira fuori dal comodino il pacchetto di Fisherman's Friend capisco che non ci sarà scampo.
Frutti di Bosco natura selvaggia è una ragazza molto appassionata. Ma anche molto sola. Le ci vorrebbe un gatto.
Non sono un esperto, ma credo che se ti tiri uno in casa perchè te lo vuoi scopare, poi dovresti evitare di confondere il sesso con tutto il resto.
Su questo spesso i maschietti sono più avanti. Le femminucce li stanno raggiungendo in fretta, saltando le tappe, nel bene e nel male.
Comunque a me, le Fisherman's Friend non piacciono. Ora lo so.

venerdì 1 agosto 2008

The Freewheelin' - 1963 -




















Bob e Suzie fra le strade innevate di New York nell'inverno 1962. Sono o non sono bellissimi? Sono due ragazzi innamorati sul serio e quest'immagine romantica mi fa tornare ai miei vent'anni. Come dice la protagonista di un bel film di Bertrand Blier: "guarda come sei bello quando sei qui vicino a me...guarda come ti sta bene l'amore addosso.." . Ah l'amore!

It's all right Ma. I'm only bleeding


Ma chi me lo fa fare.
Perchè da tempo sento questo bisogno, che non è una voglia, è proprio un bisogno?
Di scrivere di quest'uomo. Sapendo quanto facile sarebbe scivolare lungo la china dell'esaltazione.
Sapendo che corro il rischio di essere superficiale.
Che l'argomento è spinoso. Assai.
Che è, per me, come mettermi su di una scialuppa e perdermi in un mare grande, di cui non si conoscono i confini.
Mi ha sempre affascinato.
Da quando ero ragazzino.
Da quando nonna Marille (Marille in tedesco significa albicocca. Ho avuto il grandissimo privilegio di avere una Nonna Albicocca), oramai molto vecchia e stanca, ascoltava con me le mie cassette con il registratore Philips, con unico altoparlante mono, e lo chiamava Modafil, per qualche assonanza misteriosa che sentiva nella testa. Modafil! come la famosa rivista delle sarte casalinghe.
Lui è un bugiardo. Un introverso.Un anarchico, anzi sicuramente un egoista. Un misogino. Un pazzo. Un incoerente. Un menefreghista.
Un insopportabile lunatico. Un egocentrico. Un inaffidabile. Un esaltato. Un depresso. Un solitario. Uno spiritato. Un posseduto.
Un cialtrone.
Lui ha occhi che vedono la linfa lattiginosa scorrere negli alberi. Il sangue irrorare i capillari.
Lui ha tolto il pesante coperchio di pietra liscia e consumata, da sopra il nero delle anime. Sente tutti i dolori della vita, per non sentirne affatto.
Da lui è iniziato tutto.
Io scrivo questo perchè ho sempre sentito una vocazione missionaria. Quella di aiutare altri ad aprire la porta.
Quella porta che misteriosamente per me si è aperta su di un universo impagabile di poesia e letteratura e musica assieme.
Tanto concentrato e denso da superare il peso specifico del mercurio.
Tanto denso da attrarmi come un buco nero attrae la materia, la divora nel buio assoluto.
Patrick Humphries scriveva così:
"Senza Bob Dylan, il rock'n'roll così come lo conosciamo non esisterebbe.
La sua musica è la sorgente dalla quale sorrono tutti i fiumi e gli affluenti e le correnti delle canzoni moderne.
Ogni flusso e riflusso nella musica popolare degli ultimi quarant'anni possono essere uditi qui.
Queste canzoni a loro tempo hanno cambiato per sempre l'orizzonte musicale. E tutt'oggi vi gettano le loro ombre.
Tutto questo da un uomo solo.
(...)Egli ha dato alla pop music un intero nuovo lessico, portato la poesia nel rock, trasformato irrevocabilmente il profilo musicale, ispirando le future generazioni di musicisti.
La sua importanza come artista va oltre il suo lavoro. Soprattutto è stato un catalizzatore.
Senza l'influenza di Dylan, probabilmente, i Beatles non sarebbero andati oltre "She loves you" e i Rolling Stones sarebbero rimasti una delle tante cover band della south London.
Come Bruce Springsteen sostiene:"Bob ha liberato le nostre menti come Elvis (Presley) ha liberato i nostri corpi!".
Ma non è solo Springsteen a dichiararsi un discepolo di alto profilo di Dylan: REM, Sheril Crow, U2,Elvis Costello, David Gray, Sinead O'Connors, Beck, i Clash,Tracy Chapman, Mark Knopfler, per citarne alcuni, testimoniano la sua influenza nella loro vita e nella loro musica.
E' innegabile che Van Morrison, Joni Mitchell, Neil Young, Tom Waits non avrebbero mai preso in mano una chitarra senza Dylan.
Dylan è la statua della libertà che saluta ogni battello di cantanti e cantautori che prende il mare.
Ascoltare Dylan in concerto, tuttoggi, sbalordisce ancora per l'intensità delle sue canzoni ed è un fatto che oggi, dopo quarant'anni nessun altro riesca a produrre canzoni di tale complessità e profondità.
Nessuno può competere con la sua eloquenza e il suo entusiasmo per le parole.
Questo è un uomo intossicato dal linguaggio, ubriaco della potenza dell'incontro della poesia con la musica.
Dylan ha arricchito il nostro linguaggio, la nostra musica e la nostra cultura.
L'ha fatto con arguzia, intelligenza, con un semplice senso di assoluto genio poetico."
Ecco, sì lo so. E' tanto. Sembra troppo.
Ma se tu senti questa vibrazione che ti mette in risonanza e cadi alternativamente dentro te stesso o là fuori, sai di cosa parlo.
Questa vibrazione di questa voce che contiene l'America, l'Africa, l'Europa del nord e tutti i colori di pelle del mondo.
Questa voce che mi mette i brividi quando le "s" le pronuncia "z" e tagliano come un bisturi anime, corpi, pensieri, amori, dolori.
Una pronuncia del genere, vagamente, ce l'ha Eric Clapton quando canta "..and I say yes (yeszz..) you were wonderful tonite".
Dylan è stato l'unico songwriter che ha avuto la nomination al Nobel per la letteratura per il testo di una canzone.
"Visions of Johanna". Questa è la canzone.
Ma che non si abbia la pretesa di spiegarla. Si può vivisezionare, affettare, guardarla da lontano con il telescopio.
O da vicino con un microscopio. Senza mai svelarla in fondo.
La licenza, ai fruitori della grande poesia universale e eterna consente di godere delle emozioni che essa suscita.
Senza nessun diritto ulteriore, nessuna possibilità di poterla spiegare, dispiegare, possedere.
Non si può proiettare la superficie sferica della terra su una carta geografica. No, non si può.
Quelle carte che noi vediamo e utilizziamo, proiezioni coniche, carte di Mercatore e altre tipologie, sono il prodotto di artifizi.
Sono adattamenti. Compromessi.
Infatti se le usi per la navigazione aerea sulle lunghe distanze devi tenere presente una realtà virtuale e parallela: le linee ortodromiche e lossodromiche. Vuoi gli angoli veri? Vuoi le distanze vere? Entrambe no. Non è possibile.
Vale lo stesso per la poesia. Contemplala da lontano, tenendoti il mento appoggiato sulle mani intrecciate.
Non dispiegarla. Non al prezzo di farne un'altra cosa da quel che era in origine.
Ho letto molto su Dylan.
Possiedo anche la bibbia. La Bibbia di Dylan intendo.(regalo d'Amore) E' un volume enorme, di millecinquecentopagine trechilidipeso. Lyrics 1962-2001.
Incompleto, naturalmente. Le canzoni ci sono quasi tutte.
Con tutte le traduzioni di insigni letterati esperti. Ce ne fosse una che mi va bene.
Non mi trovo daccordo con alcuna.
Non mi trovo nemmeno con tante spiegazioni nelle dotte note a margine, le più fantasiose.
Bisogna accettare il fatto che questo genio straordinario non è commensurabile. Come qualsiasi genio.
Quel che è vero è che attinge a man bassa come un corsaro depreda, come predone saccheggia, come una banda assassina razzia.
Nella storia, nella geografia, nella letteratura, nelle anime, nei corpi, nei Vangeli, nelle miserie dei miserabili.
Nella arroganza e nella opulenza degli ipocriti. Nella fatica del vivere.
Ero un adolescente e ascoltavo "I want you" dal juke box nell'aria fumosa del bar al sabato sera. Il juke box con la rotellona rossa pesantissima per selezionare le canzoni, il vetro inclinato e le etichette ingiallite dei brani scritte a mano.
Gli faceva coppia "Mr. Tamburine Man" nella versione celeste dei Byrds. Che atmosfera, gente!
Venivo rapito da quei suoni anche senza poter capire una sola parola d'inglese:
"The guilty undertaker sighs
the lonesome organ grinder cries
the silver saxophones say
I should refuse you.."
" Lo singhiozza il becchino colpevole, lo macina piangendo l'organo solitario e lo dicono i sassofoni d'argento, che non dovrei riprenderti con me..."Dylan aveva a vent'anni la voce di un uomo fatto e finito. Nel liceo che frequentava in Minnesota, suonava il piano in una band scolastica di adolescenti: un insegnante ha dichiarato di aver udito uscire dalla sua bocca un urlo selvaggio e disumano e di essere "inorridito".
Ha amato tanto quest'uomo ed è stato riamato altrettanto. Ma le due donne fondamentali le ha perse entrambe. Suzie e Sara. Hanno ispirato entrambe, credo, almeno un centinaio di canzoni. Infatti gli espertoni parlano di un "ciclo di Suzie" e un "ciclo di Sara". Poi decine di storie che non gli hanno però riportato la pace che cercava.
Suzie Rotolo, ragazza italo americana con cui ha diviso gli anni al Greenwich Village, in una stanza povera ma che ha contenuto la felicità di un grande amore, Suzie se ne partì per l'Italia per studiare. Non tornò mai più da Bob. Conobbe un italiano e lo sposò. Vive tuttora in Italia.
Botta letale.
Sara gli ha dato quattro figli e ad un certo punto un calcio in culo, meritato probabilmente.
I movimenti pacifisti ne hanno fatto una bandiera, hanno sempre cercato di impossessarsi di lui. Che, invero, non è mai stato vicino a questi movimenti e anzi ne prende le distanze.
Prende le distanze da tutto e da tutti quest'uomo.
Gli impresari gli preparano le scalette dei concerti e lui le cambia sistematicamente sul palco a luci già accese, facendo impazzire i musicisti. Stravolge le canzoni e le rende irriconoscibili al punto che non sai cosa stai ascoltando.
Cancella le tracce, i legami e ogni impronta, ogni giorno.
Ma io immagino la chiappa molliccia del contrabbassista e la sua gambetta che parte e vibra alla frequenza di un ronzio di libellula, quando attacca "Thunder on the mountains".
E sento qualcosa che va oltre la mia immaginazione e la mia capacità di comprendere, quando la sua voce intona "Trying to get to heaven".
E questo mi basta. Mi basta intuire.

pausa

..la storiella di Hanna e i suoi fratelli, naturalmente, non è conclusa.
E' ferma perchè mi manca un pò di motivazione.
E ho smarrito quei fantasmi che avevo a mente.
Però so che si tratta solo di avere un pò di pazienza.
Riprenderò appena possibile.

Jamiro

lunedì 21 luglio 2008

Hanna e i suoi fratelli (terza parte /..)



Hanna. Somala. Cameriera dell'Hampton's.
Mihret. Somala. Cameriera dell'Hampton's
Joseph. Somalo. Cameriere dell'Hampton's e tuttofare.
Asif. Cingalese. Responsabile di palestra e piscina nella penthouse sul tetto dell'Hilton. Di giorno. Pasticcere di notte.
Ismail. Cingalese. Cameriere dell'Hampton's.
Saddam. Iracheno. Addetto alla security.
Mùstafa. Egiziano. Uomo delle pulizie.
Noemi. Filippina. Cassiera di un cambiavalute.
Helena. Siberiana. Assistente di volo o per meglio dire stewardess. Noi italiani siamo gli unici a chiamarle Hostess. Senza sapere che il significato che viene spesso dato al termine indica una professione tanto antica quanto poco nobile.
Chao Nin. Cinese. Hostess. Per usare un termine raffinato. Prostituta di postribolo. Per essere precisi.
Cos'hanno in comune queste persone? Alcune hanno in comune la professione. Quasi tutte hanno a che fare con l'Hilton Corniche Hotel.
Sono tutte persone semplici.
Sono tutte persone con un sorriso aperto e sincero.
Sorridere ed essere gentili fa anche parte del loro lavoro.
Provengono da culture diverse che gli hanno insegnato ad essere felici per ciò che hanno. Culture che gli hanno insegnato a non essere infelici per ciò che non possono avere.
Tutte mi sono state amiche.
Sarebbe un grande onore che anche loro mi considerassero un vero amico.
Di ognuna racconterò qualcosa.
Qualcosa.
Qualcosa a noi occidentali sfugge facilmente.
Il tempo che passa per esempio
Percui corriamo come i pazzi. Nell'illusione di rallentarlo.Il tempo.
Per rallentarlo davvero bisognerebbe viaggiare a velocità impossibili, prossime alla velocità della luce.
La nostra civiltà si basa sul fatto che il tempo è una costante. t=K. E invece il tempo è una variabile.
Ma relativamente all'ordine di grandezza della velocità alla quale ci muoviamo sembra una costante. E' tutto relativo.
E' la relatività di Einstein.
Per sfruttarlo, il tempo, cerchiamo di fare un mare di cose. Così sembrerà di averne avuto di più, alla fine della vita.
Perchè pensiamo di misurare il tempo in funzione della densità di cose che ci abbiamo fatto dentro. E attribuirgli così un valore.
Secondo lo schema con il quale si attribuisce valore alle cose materiali. La poca disponibilità di tempo lo rende preziosissimo.
La tanta disponibilità di tempo gli toglie valore. Sono le teorie keynesiane del novecento. Economia politica.
Il valore di una bottiglia di acqua gelata nel deserto equatoriale. E il valore della stessa bottiglia nella regione dei laghi in Canada.
Gli occidentali per averne di più contraggono il tempo.
Da altre parti, invece, lo dilatano. Con opportune pause e spazi vuoti.
Che servono almeno quanto quelli pieni.
Quanto le pause su un pentagramma. Danno ritmo e senso alla musica.
Al di fuori dell'occidente il tempo ha un valore diverso.
Trovano bello fermarsi e lasciarlo scorrere.
E' bello fare cose. Farle tutte o farne tante non le migliora. Nè migliora la vita.
Così Asif sopporta con sofferenza, sì, ma anche con un sorriso, la lontananza da sua moglie che è rimasta in India.
E vive, vive sereno aspettando di poter telefonare a casa ogni due settimane.
E di poter andare a trovarla una volta all'anno.
Durante l'ultima visita, l'anno precedente, hanno concepito un figlio.
E' nata una bambina. Asif però adesso ha un pò di fretta occidentale anche lui.
Vuole andare a vedere e abbracciare questa figlia che ha già quasi tre mesi.
E' la sua primogenita.
L'ha vista solo in fotografia.
Quando il termine presunto del parto era già scaduto, io, Daniele e altri ci informavamo quotidianamente sulle novità.
Asif sorrideva, allargava le braccia e diceva "not yet, not yet". Non ancora.
Era emozionatissimo, in quei giorni, e assai nervoso. Non stava fermo un attimo.
Asif è giovane. Basso di statura, muscoloso e con la pelle olivastra e i capelli neri, densi e riccioluti.
Asif ha il sorriso di un bambino.
Asif è un cannone.
Durante il giorno si occupa della piscina al ventiquattresimo piano. Allinea le sdraio, prepara gli asciugamani, porta i drink on the rocks ai clienti stesi come cenci fra ombra bollente e sole impietoso.
Lava i bagni e la sauna. Sì, qualche pazzo fa anche la sauna, qui. Prende le prenotazioni per i massaggi thai. La palestra è separata dalla piscina da una grande vetrata oscurata. In piscina i bimbi arabi ci vanno con il papà.
Alcuni maschietti fanno il bagno in costume. Altri, invece, e le bambine, lo fanno vestiti, con abiti di cotone leggero e ampi a sufficienza da permettere i movimenti.
I papà prendono il bagno in costume con i piccoli.
Le mamme, con la loro tunica nera ed il capo coperto, rimangono sedute su di una sedia sotto l'ombrellone.
Certe giovani donne arabe vengono qui a prendere il sole, perchè questo è un posto da occidentali. Si mettono in bikini e amano chiacchierare con gli europei. Fanno di tutto per dimostrare la loro emancipazione.
Sono ricche. Ricchissime. Hanno studiato nei college svizzeri. Parlano diverse lingue ed un inglese eccellente.
Sono laureate, belle, curate, gli piace da morire provocare gli uomini con la loro sensualità innata. Parlano disinvoltamente di sesso, usano alternativamente il verbo to fuck o to screw, senza tante metafore o allusioni.
Vengono qui di nascosto. I loro familiari non lo sanno.
Al ristorante, sedute in gruppo, fanno bei sorrisi da sotto il velo di seta elegantissimo. Il ristorante dell'albergo è luogo amico. Cenano volentieri qui. Ordinano a la carte e non vanno mai al buffet.
Ma se le incontri in città faranno finta di non vederti. Perchè non ti hanno mai conosciuto. E quel numero di cellulare a cui mandano messaggi deliziosi e ambigui non è il tuo.
Asif ha il suo bel daffare anche con la palestra ben attrezzata con vista sull'oceano. La mattina i volenterosi non sono numerosi ma verso sera c'è un bel via vai.
Asif aveva gli occhi umidi e piangeva dalla contentezza, mi abbracciava e scuoteva la testa leggermente, da una spalla all'altra, facendo perno sul collo. I cingalesi fanno così per dire sì. Da noi si fa così per dire no.
E invece sì, sì, dondolava il capo, era nata la sua bimba.
Siamo stati tutti contenti con Asif.
Asif, quando chiude la palestra, alle nove di sera, si fa una doccia e si cambia. Si veste di bianco.
Scende una ventina di piani.
E comincia un altro lavoro. E'un abile pasticcere, Prepara fantastiche torte decorate, di sfoglie di cioccolato, di frutta, di mandorle caramellate e leggerissimi gomitoli di filo di zucchero e miele croccante.
Le torte che verranno servite all'Hampton's il giorno dopo.
Il viaggio di Asif per tornare dalla sua famiglia costa tre mesi di stipendio. Con tutte le attenzioni ed i risparmi, dato che ha spedito alla sua sposa tutto ciò che poteva, non sarebbe riuscito a ragranellare il denaro sufficiente prima di quattro o cinque mesi di cinghia all'ultimo buco.
Daniele che è tanto maturo quanto intelligente, nonostante la giovane età, ha proposto una colletta fra colleghi.
Offrire ad Asif il viaggio per tornare a casa ci ha reso felici tutti quanti.
La gioia di Asif e la sua incredulità quando gli abbiamo dato la busta ha suscitato in noi un'emozione difficile da trattenere. Per poter partire ha dovuto aspettere che il suo boss gli desse le agognate ferie. Ma il più era fatto.
Si trattava solo di dilatare il tempo come gli orientali sanno pazientemente fare.
Quando è venuto il tempo mio di partire e tornare in europa, Asif ha voluto a tutti i costi prepararmi una torta da portare con me."Asif doesn't work! The cake gets gone since i have such a long journey!". "Don't worry Mr. G.! i know".
E così mi ha preparato in una delle sue ennesime notti uno splendido plum cake, ripieno di meravigliosi canditi e pezzi di cioccolato e nocciole. Me lo ha impacchettato per benino, ben protetto.
Il plum cake di Asif l'ho mangiato in giardino della casa che avevo in Stiria. Dove le colline della Carinzia degradano dolcemente verso l'immensa pianura che conduce al Danubio.
Ho mangiato il plum cake in un mattino soleggiato,d'Europa, in un giardino di una casa in cui avevo un posto e un motivo di stare. Così è stato per sei anni.
Non sapevo che quello sarebbe stato il mio ultimo mattino in quel giardino.
Di quel mattino ricordo, soprattutto, la torta del mio amico Asif.

Hanna e i suoi fratelli (seconda parte)





L'atterraggio notturno all'aeroporto della città di Larnaca, a Cipro, me lo ricordo bene. Roba di alcuni mesi prima.

Ricordo di aver seguito dall'oblò la fuoriuscita di slat e spoilers, con il velivolo che si stabilizzava in lungo finale con piccoli aggiustamenti sul Localizer del locale ILS. Ricordo il mare, la costa frastagliata, le luci della città, bello da morire. Ricordo il contatto che mi è sembrato ben oltre la soglia pista e la frenata poderosa con i trust reverse, il rullaggio al parcheggio per una selva di raccordi lunghi eterni. Ricordo di aver annusato, pur senza poterlo sentire, l'odore del medio oriente. Ricordo l'autobotte e gli addetti al rifornimento che si muovevano con una flemma che ti ricorda di essere in medio oriente. E non a Francoforte o Stoccolma o Heatrow. In Medio Oriente.
Larnaca è una splendida portaerei nel mediterraneo orientale. La gente ci passa da quando l'uomo ha imparato ad andare in qua e in là per i mari. Come gli autogrill sull'appennino quando fai l'autostrada per andare a sud. Ma molto più bella e romantica e pulita, perfino.
Siamo restati tutti seduti ai posti assegnati, lo scalo tecnico è durato una mezz'oretta. Niente sigaretta. Sono l'unico, o quasi, passeggero in abiti civili, con infradito e jeans scolorati. Tutta la fila di sedili riservata per me. Pochi, pochissimi indizi rivelano chi sono e cosa faccio. Mi scrutano, specialmente i capoccioni. Non compaio sulle loro liste, lo so. Ma nessuno viene a chiedere spiegazioni. Vedono i plichi destinati all'ambasciata dai quali non mi separo nemmeno per andare a pisciare. Penseranno che io sia una barba finta, dell'Intelligence o dei Servizi. Intelligentemente mi lasciano in pace.
Decollo e dopo pochi minuti di volo compare la costa del Libano e le luci di Beirut, città martoriata.
Virata a destra sul mare, prua a sud.
In poco tempo compare in lontananza, sfocata nella foschia, Tel Aviv. Penso alla Siria, a Damasco, città dell'incanto, se mai la visiterò un giorno. Adesso no, non è consigliabile meta di turismo, non si può.
Poi Gerusalemme. La città dell'incontro. La città che tutti vogliono. La città che divide. L'epicentro delle religioni monoteiste. Preda da sbranare, simbolo irrinunciabile. Per la quale farsi uccidere. E uccidere. Tutti figli dello stesso Dio, tutti generati dai discendenti di Abramo e di Isacco. Prima gli ebrei, poi i cristiani di Gesù, poi i seguaci del Profeta Mohammed. Da migliaia di anni va avanti così, fra eterne battaglie intervallate da più o meno brevi silenzi di armi.
Silenzi in cui le pietre affilano le spade, meditando la vendetta nel crogiuolo dell'odio che ribolle e non si assopisce.
Nella ricerca ottusa, spasmodica e cieca delle radici delle proprie ragioni non si riesce a predire alcun domani.
Massima diffusa fra i piloti è quella per la quale quando devi atterrare, il tratto di pista che hai alle spalle non conta, conta il tratto che ti resta disponibile. Bella metafora, universale. Una giusta prospettiva per osservare le cose.
I pensieri mi impegnano, poi diventano rotondi e le immagini cortocircuitano mormidamente, e mi assopisco.
Quando riapro gli occhi, sotto l'aeroplano è tutto nero. Non capisco se siamo fra due strati di nubi.
Poi ci sono luci che tremolano, sparse nel nero denso.
E' il deserto. Sono pozzi petroliferi.
Sono le tre del mattino, ora locale, quando il portellone di prua dell' A320 si apre su un muro di aria bollente, umida e densa.
Scendo e cerco qualcuno della polizia militare, gente dei nostri, mollo alcuni plichi che devono raggiungere destinazione discretamente e chiedo consiglio per il carico prezioso e proibito stivato a metà del mio pesantissimo zaino.
Ci guardiamo negli occhi e decidiamo di tentare la strada più semplice: faccia da culo e dogana.
Mi mescolo ad altre persone e mi avvicino al desk dell'immigrazione. L'aerostazione è semivuota ma i poliziotti e i doganieri baffuti sono numerosi e aspettano al varco indolenti.
Ci sono anche le poliziotte con la divisa carta zucchero, i gradi da sergente, e lo chador. Tutte obese e tarchiate.
Il tizio dietro il vetro scruta il passaporto, ripassa tutte le pagine ad una ad una, controlla i visti e dove son andato girando, lentamente. Ripete l'operazione a ritroso.
Faccio il calmo, senza sorridere e senza mostrare nervosismo, controllo i gesti. Seguo la mia valigia e lo zaino che scompaiono e riappaiono dall'altro lato dello scatolone dell'ecografo. Il tizio al monitor getta occhiate distratte.
"Perchè fa visita al nostro paese?" mi chiede l'arabo senza sollevare lo sguardo. "Businnes and some tourism as well".
Rumore di timbro che lascia un'impronta rossa sul mio passaporto.
"Welcome in the U.A.E, God bless you".
Prima di guadagnare l'uscita mi fermano ancora due volte e mi ricontrollano i documenti. Sotto le palme c'è la Toyota bianca con cui mi sono venuti a prendere, Valigia nel bagagliaio e zaino sul sedile posteriore con me.
Solo al mattino, quando varco il metal detector dell'ambasciata italiana, tiro un sospiro di sollievo. Consegno il prosciutto crudo di S.Daniele (disossato per concedere meno impronta all'ecografo) all'amico del mio amico che ringrazia e mi porge il suo biglietto da visita, per qualsiasi casino mi dovesse accadere. E' un gesto prezioso.
Prosciutto crudo, merce proibita. Carne di porco, bestia immangiabile. L'importazione, ad uso degli occidentali, è concessa solo dopo una trafila che farebbe desistere anche i molto pazienti.
Importazione di merce proibita. Ho infranto una regola. Severa come tutte le regole, semplici peraltro, che regolano questa civiltà.
Tempo dopo, proveniente da Vienna, dopo aver fatto scalo in Qatar, mi hanno vivisezionato il bagaglio. Avevo solo una Sacher Torte. Vada pure.
Esco nel viale fiorito, nell'elegante e ordinato quartiere delle ambasciate, il traffico è assente, il cielo molto blu e non c'è anima viva.
E' venerdì. Giorno di festa e riposo.
E' la loro domenica.
Mi ci abituerò presto.

Hanna e i suoi fratelli (prima parte)





Questa storia intreccia, perchè il destino così ha voluto, un pezzo della vita di alcune persone che senza saperlo, senza volerlo, sono state importanti per me. Spettatori e attori di un periodo formidabile e indimenticabile.

Che se non ci fossero state loro con la loro semplice umanità a preparare il terreno, per i fatti del dopo avrei sofferto ben di più.
Hanna, Joseph, Mihret, Ismail, Asif, Saddam, Mùstafa, Noemi, Chao-Nin e Helena.
Non vi dimenticherò.

A sinistra il mare caldo e nero, quasi uno specchio, compie movimenti lentissimi e si infrange con morbidezza, si potrebbe dire pudore, contro la massicciata di pietre ordinate. A destra lo skyline sfavillante di una teoria di grattacieli modernissimi, che pare interminabile. Luci accese al quarto al quattordicesimo e al quarantesimo piano. Sono quasi tutti di proprietà di potentissime compagnie che estraggono gas e petrolio, e lo vendono al mondo che non sa farne a meno.
Lo spettacolo è veramente emozionante.
Nel mezzo, Corniche Road.
Fa spartiacque fra l'oceano Indiano e i bastioni della civiltà moderna, della tecnologia, delle visioni degli architetti e delle iperboli degli ingegneri che da tutto il mondo qui si sono dati convegno. E si sono sfogati, senza dubbio, come farebbero bimbi con secchielli di colore e grandi fogli di carta. Come farebbero marinai in un bordello dopo mesi di navigazione.
Corniche Road è una vela tesa al vento fra l'Emirates Palace e il porto, un bel pò di chilometri più a est.
In tutto sei corsie, tre per senso di marcia, sul lungomare. Illuminata da una miriade di lampioni, interrotta da una sequela di semafori, percorsa da un serpente d'auto che non smette di fluire nemmeno di notte.
Il pachistano guida come un pazzo, impassibile, senza aprire bocca. Inchioda all'ultimo momento e ridà gas per evitare gli autovelox mimetizzati fra le palme, di cui conosce a menadito l'ubicazione. Auto si sorpassano a destra e sinistra. Bolidi rombanti con motori da otto cilindri in su, tutti a benzina, tutti con cambio automatico. Qui il diesel semplicemente non c'è e i cambi manuali le hanno soltanto i taxi dei pachistani che sono tutte Toyota duemila.
Qui i mezzi pubblici non esistono, non come li intendiamo noi occidentali, almeno. Niente autobus, filobus, corriere. Niente metropolitana, niente treni.
Solo taxi. Tanti, tantissimi, migliaia di taxi che corrono in continuazione. Sangue umano fra le vene ortogonali che alimentano ogni tessuto della città che pulsa. Taxi con alla guida un pachistano.
Taxi bianchi con bande verdi e oro, con un uomo con la tunica bianca e i sandali e la barba scura che può arrivare fino al petto. Uomini che non hanno età. Uomini con occhi neri e profondi come pozzi di cui non sai vedere il fondo.
Uomini di cui può essere difficile sostenere lo sguardo di sfida, Uomini miti, per lo più.
Uomini senza diritti, sfruttati. Uomini che valgono meno del taxi che guidano per quattordici,sedici ore al giorno.
Il mare stanotte sembra ancora più nero e le luci dai palazzi ancora più brillanti mentre il mio taxi driver mi porta giù per Corniche Road. Guardo fuori e non smette di piacermi ciò che vedo.
Le geometrie arabe dei giardini pubblici che impreziosiscono la costa, con le vasche collegate da canali in dislivello e le fontane incastonate come preziose pietre, meravigliose creazioni che un esercito silenzioso di altri derelitti, del Corno d'Africa stavolta, mantiene e cura di notte e ogni notte. Piantano erba sulla sabbia del deserto. Erba che con quel caldo infernale si brucia e va rimpiazzata dopo pochi giorni. Lo spettacolo dell'erba verde smeraldo e dei fiori non finisce mai. Alimentato con irrigazioni costanti grazie a giganteschi impianti di desalinizzazione, che rendono l'acqua del mare dolce quanto basta.
Il taxi ha i sedili di tessuto rivestiti di plastica trasparente e spessa, come i copritovaglia da giardino, fa sudare la schiena mentre il resto del corpo congela. I pachistani tengono l'aria condizionata a tutta canna , questi condizionatori sono delle bombe con scambiatori di calore a piastre sotto il pianale dell'auto per far fronte ai cinquanta gradi all'ombra e 80% di umidità, la botta termica che ricevi quando sali è veramente forte.
"My friend, could you please set the cooling down? Am gettin'sick!"
E lui urla "What? No understand, pakistani pakistani!"
"Vaffanculo tu e tua madre, ecco, understand my friend!". Semplicemente non gli va di capire.
La radio trasmette in continuazione le litanie dei muezzin e le musiche religiose che loro ascoltano tutto il santo giorno, praticamente senza mai scendere dall'auto.
Il cruscotto lo rivestono con un tappetino che sembra moquette, in genere rosso, o verde, o giallo oro, con lunghe frange e qualche ammenicolo tintinnante. Sul retro dei poggiatesta anteriori ci sono due targhette in arabo e inglese. Una recita: Driver, e riporta il nome e la foto del pachistano, l'altra recita: Owner e riporta solo il nome e il recapito del proprietario arabo del taxi. Un pachistano non possiede un taxi. Lo guida per uno stipendio per il quale noi non metteremmo nemmeno piede fuori dal letto, la mattina, lasciandoci morire d'inedia.
I pachistani cercano di fotterti qualche centesimo facendo sempre finta di non avere il resto. Oppure si rifanno un pò di notte, dopo le 23.00, quando la legge gli consente di disattivare il tassametro e allora il prezzo della corsa va pattuito prima e mercanteggiato sorridendo.
I pachistani, qui, in questa società a compartimenti stagni, fatta di caste, sono l'ultimo anello della catena. Riesco solo ad immaginare i feudi e il medioevo. Ma oggi, i Signori hanno i-Phone in tasca e Panerai al polso e almeno una Porsche Caiman. E posseggono alcuni schiavi dell'era moderna, fra cui, immancabile, una House Maid filippina.
Il pachistano svolta a destra e fa inversione fermandosi sulla collinetta dell'ingresso principale dell'Hilton Corniche Hotel. Metto un pò di monete in mano al taxi driver che ringrazia con un mugugno e gli occhi bassi.
Muskarat apre la porta dell'auto e mi fa scendere. "Good evening Sir, how are You?".
Gli faccio l'occhiolino mentre le pesanti doppie vetrate si aprono sulla concierge di marmo rosa, illuminata da un lampadario di cristallo semplicemente enorme e bellissimo.
Vado di fretta, mi stanno aspettando per la cena.
Saddam, di guardia all'ascensore, mi anticipa e riesce a pigiare la chiamata prima di me.

lunedì 30 giugno 2008

To spin or not to spin?


Spinnen in tedesco significa dare i numeri. P.es. "spinnst du?" si traduce con "sei fuori?".
Non che c'entri un gran chè. Spin, in inglese, significa moto vorticoso (elicoidale). I piloti italiani traducono questo termine con "vite". La Vite.
La vite in italiano, oltre che la pianta mamma dell'uva, è però anche quell'aggeggio filettato che si accoppia con il dado, dando origine al famoso bullone.
L'aggeggio filettato, in inglese, si chiama screw. Screwdriver è il cacciavite. Va da se che la cosa possa generare confusione. E qualche malinteso.
Qualche pilota poco avvezzo alle raffinatezze della lingua anglosassone può usare un termine per l'altro.
Se poi lo usa come verbo, (to screw) per intendere di voler fare "la vite", incorre in un pericolo ancor più grave, perchè il verbo inglese possiede un altro significato, assai noto e largamente usato.
To screw, infatti, significa anche "fare cik ciak cik ciak con la morosa (tua o altrui). E' paragonabile all'italiano "chiavare" ma meno volgare che lo dicono anche in TV.
Insidie della lingua straniera.
La vite (Spin, chiaro no? adesso!) fa paura. La prima volta che la fai e precipiti ( in vite gli aeroplani cadono come ferri da stiro che si avvitano su sè stessi) la vedi brutta.
Poi ti abitui un pò. Ma solo un pò. Io pochissimo.
Tecnicamente per mettere un velivolo in vite bisogna stallarlo facendo in modo che una semiala stalli prima e di più dell'altra.
A quel punto ti dirigi verso il centro della terra come un meteorite.
Belzebù mette carota, cipolla, sedano, una foglia d'alloro nel pentolone e ti aspetta a breve (eventualmente aggiunge qualche bacca di ginepro se sei maschio nel fiore degli anni per togliere un pò del "selvatico" dovuto agli ormoni concentrati nelle gonadi).
Tu applichi la procedura di rimessa dalla vite, per benino, senti il sangue liquefarsi come la reliquia di San Gennaro nell'ampolla, e fai marameo a Belzebù che per cena si dovrà accontentare di brodino vegetale con le stelline o i ditalini o i risi.
Tanto è solo questione di tempo my friend.
Nel video ci si fa un'idea, seppur parziale della famosa vite. NB: quel barrito sinistro e spaventoso che si sente ad un certo punto non è dovuto all'elefante stivato nella bagagliera (beh potrebbe essere) che se la fa sotto, bensì è semplicemente l'avvisatore acustico di stallo che vuol fare il soprano, data la situazione.

Amore a prima vista

Questo aeroplano è un mito nella storia dell'aviazione. E' un Cessna 150. Charlie one five zero alla radio. Migliaia di piloti hanno imparato a volare con lui. Anch'io. E' un compagno docile e fedele. Ma non possiede un'anima tutta sua. L'anima gliela devi prestare tu, prima, dopo e durante ogni volo. In poche parole, se tu vuoi bene a te stesso, il tuo "Cessnino" ne vorrà a te. Non è un'aeroplano della tecnology generation, corrisponde alla cara vecchia Fiat 500 o alla gloriosa "127". Con l'unica differenza che non ci puoi fare l'amore in camporella. Perchè non ha i sedili ribaltabili. Ma il primo volo che ci farai fare alla morosa resterà indelebile nel suo cuore. Per sempre.

domenica 29 giugno 2008

Cose indispensabili 3



Bonus per esperti:


1. Scampanate, tonneau a botte e rimesse da assetto inusuale con 110° di inclinazione alare sono come le scoregge: piacciono solo a chi le fa.
Evitare con passeggeri innocenti a bordo


2. Se la donna con cui esci da tre sere ti propone di sposarla ricorri senza indugio alla fraseologia standard che hai imparato nel corso di fonia inglese.
Puoi optare indifferentemente fra:
- read you now and then ( incomprensibile ti ricevo a tratti)
-.transmitting blind due to receiver failure, diverting home (parli all'aria, la radio è in avaria, trasmette ma non riceve, mi sono ricordato che ho la zuppa di porri e fagioli in pentola a pressione dalle 5 di pomeriggio)
- May day may day may day fire on board attempt forced land (ooops mi è venuto il cagotto e le emorroidi non mi danno tregua. Scusa, vado..poi ti richiamo io)
- Se rispondi "say again" sei fottuto. Questa è una bold-face. Le risposte vanno date in AUTOMATICO (si chiamano comportamenti bottom-up cioè a bassa consapevolezza e salvano la vita a volte).

Cose indispensabili 2



Cose indispensabili da sapere prima di iniziare qualsivoglia attività didattica connessa al volo.



Tre Cose avanzate:


1. Se a 1.000 piedi e 140 nodi indicati riesci a valutare l'area dell'areola mammaria delle bagnanti in topless sul lungomare di Jesolo questo corso non fa per te.
Probabilmente potresti atterrare di notte, nella tempesta e con 50 nodi di vento traverso sul ponte di una portaerei.
Rivolgiti alla U.S. Navy, ti diranno cosa fare. Indirizzo: B.Roosvelt Carrier, somewhere in the fucking asshole of Pacific Ocean, zip Code 10022.
Se non rispondono stanno prendendo a cannonate qualcuno. Insisti


2. Odori molesti a bordo non si risolvono invertendo l'aria calda al carburatore ma aprendo la RAM Air Scoop. Evitare sopra i 15.000piedi


3. Non fidarti del GPS. Per la legge di Murphy quando ti troverai nella cacca, come pena accessoria perderai il Segnale o finiranno le Batterie.
Esempio di Pena Accessoria: rubi le caramelle = 10 giorni di arresto con la condizionale. Sei anche immigrato irregolare = + 18 mesi di galera come pena accessoria.

Cose indispensabili 1


Cose indispensabili da sapere prima di iniziare qualsivoglia attività didattica connessa al volo.

Tre Cose base:

1. Volare è facile. Volare bene è molto difficile. (vale lo stesso per la fotografia)

2. Se la Mamma o la Fidanzata ti ha detto "amore mio ti prego, vola piano e vola basso" e tu hai risposto "prometto!" questo corso fa per te

3. Scopare è SEMPRE meglio di volare. Non dare confidenza a quelli che hanno preso la residenza all'Aeroclub. E' una perversione peggiore di fare collezione di mutande usate.

Ma che c'è da imparare?



In questo corso, oltre ai rudimenti del volo si imparano anche cose divertenti e inutili. Altre tristi e utili. E rispettive varianti.
In particolare sull'educazione dei figli, sull'allevamento dei branzini, su come conservare le Stelle di Natale da un anno all'altro, sul prolasso dell'utero e la prostatite cronica, sul tortino di broccoli e altre buone ricette che conosco.
Tipo trotelle in carpione e roast.beef alla senape. Su come capire che in caso di separazione il vero nemico è il tuo avvocato. Su come scegliere un Rose Bud. Sull'amicizia fra maschi. Sull'amicizia fra femmine.
Sull'amicizia fra maschi e femmine. Su come chi è causa del suo mal pianga se stesso. Sull'amore senza sesso. Sul sesso senza amore. Sul sesso e basta purchè se ne parli che ci piace come argomento.
Sul dilemma dell'asse del WC su o giù. Sull'effettività della pena. Sulla pena dell'effetto. Su come combinare i colori in lavatrice.
E anche su innumerevoli buoni motivi per lavare i vetri con acqua e ammoniaca e non comprare costosi prodotti specifici.Sul rispetto dei limiti. Sui limiti del rispetto. Su come superare i propri limiti. Al limite.
Questa sQuola è stata pensata per i maschi del genere umano, esseri abbisognevoli di attenzioni maggiori in questi tempi grami per loro. Ma la partecipazione delle femmine è altamente auspicata, desiderata, bramata.
Che senza di loro nulla avrebbe senso.
Nemmeno volare.
E' bellissimo fare le cose da maschi fra maschi solo sapendo che le femmine esistono. Grazie Buon Dio, grazie di cuore.

Il Pilot Judgement



Undicesimo comandamento. Non giudicare. Il pilota è l'unico responsabile del suo operato. Gode del diritto-dovere del Pilot Judgement ovvero è giudice di se stesso, delle scelte che compie. Chi è a terra non può giudicare, non si trova nella medesima situazione, non è costretto a scegliere. In ogni caso, da seduti sulla panchina con il naso in sù, è tutto troppo facile. Nelle vicende e nelle dinamiche bisogna trovarsi coinvolti altrimenti niente giudizi. Consigli, suggerimenti, approvazioni e disapprovazioni sono benvenuti. Ma niente morali nè giudici. La capacità di giudizio umana è sempre troppo fallace. Più fallace degli aeroplani che in fin dei conti, una volta per aria, volano anche senza mano umana.

Il metodo didattico



Questa è l'unica sQuola di volo on-line. E' indicata ai visionari pragmatici.Il metodo didattico richiama quello delle sedute della Anonima Alcolisti, o delle psicoterapie sessuali di gruppo. Nessuno sta in cattedra. Non ci sono berretti da asino. La libertà di espressione è l'aria nella quale si vola. Più libertà, più aria. Più aria, più volo.
L'obiettivo, come non si stancava mai di ripetere il mio Istruttore Maestro Sublime che-non si-incazza-mai-anche-se-l'allievo-atterra-sull'elica, Cristiano, di seguito detto Cris, non è quello di volar bene. Per volar bene ci vuole una vita. L'obiettivo è quello di RICONOSCERE gli errori che si compiono, così da correggerli. E divertirsi della vita senza farsi (troppo) male.