lunedì 21 luglio 2008

Hanna e i suoi fratelli (prima parte)





Questa storia intreccia, perchè il destino così ha voluto, un pezzo della vita di alcune persone che senza saperlo, senza volerlo, sono state importanti per me. Spettatori e attori di un periodo formidabile e indimenticabile.

Che se non ci fossero state loro con la loro semplice umanità a preparare il terreno, per i fatti del dopo avrei sofferto ben di più.
Hanna, Joseph, Mihret, Ismail, Asif, Saddam, Mùstafa, Noemi, Chao-Nin e Helena.
Non vi dimenticherò.

A sinistra il mare caldo e nero, quasi uno specchio, compie movimenti lentissimi e si infrange con morbidezza, si potrebbe dire pudore, contro la massicciata di pietre ordinate. A destra lo skyline sfavillante di una teoria di grattacieli modernissimi, che pare interminabile. Luci accese al quarto al quattordicesimo e al quarantesimo piano. Sono quasi tutti di proprietà di potentissime compagnie che estraggono gas e petrolio, e lo vendono al mondo che non sa farne a meno.
Lo spettacolo è veramente emozionante.
Nel mezzo, Corniche Road.
Fa spartiacque fra l'oceano Indiano e i bastioni della civiltà moderna, della tecnologia, delle visioni degli architetti e delle iperboli degli ingegneri che da tutto il mondo qui si sono dati convegno. E si sono sfogati, senza dubbio, come farebbero bimbi con secchielli di colore e grandi fogli di carta. Come farebbero marinai in un bordello dopo mesi di navigazione.
Corniche Road è una vela tesa al vento fra l'Emirates Palace e il porto, un bel pò di chilometri più a est.
In tutto sei corsie, tre per senso di marcia, sul lungomare. Illuminata da una miriade di lampioni, interrotta da una sequela di semafori, percorsa da un serpente d'auto che non smette di fluire nemmeno di notte.
Il pachistano guida come un pazzo, impassibile, senza aprire bocca. Inchioda all'ultimo momento e ridà gas per evitare gli autovelox mimetizzati fra le palme, di cui conosce a menadito l'ubicazione. Auto si sorpassano a destra e sinistra. Bolidi rombanti con motori da otto cilindri in su, tutti a benzina, tutti con cambio automatico. Qui il diesel semplicemente non c'è e i cambi manuali le hanno soltanto i taxi dei pachistani che sono tutte Toyota duemila.
Qui i mezzi pubblici non esistono, non come li intendiamo noi occidentali, almeno. Niente autobus, filobus, corriere. Niente metropolitana, niente treni.
Solo taxi. Tanti, tantissimi, migliaia di taxi che corrono in continuazione. Sangue umano fra le vene ortogonali che alimentano ogni tessuto della città che pulsa. Taxi con alla guida un pachistano.
Taxi bianchi con bande verdi e oro, con un uomo con la tunica bianca e i sandali e la barba scura che può arrivare fino al petto. Uomini che non hanno età. Uomini con occhi neri e profondi come pozzi di cui non sai vedere il fondo.
Uomini di cui può essere difficile sostenere lo sguardo di sfida, Uomini miti, per lo più.
Uomini senza diritti, sfruttati. Uomini che valgono meno del taxi che guidano per quattordici,sedici ore al giorno.
Il mare stanotte sembra ancora più nero e le luci dai palazzi ancora più brillanti mentre il mio taxi driver mi porta giù per Corniche Road. Guardo fuori e non smette di piacermi ciò che vedo.
Le geometrie arabe dei giardini pubblici che impreziosiscono la costa, con le vasche collegate da canali in dislivello e le fontane incastonate come preziose pietre, meravigliose creazioni che un esercito silenzioso di altri derelitti, del Corno d'Africa stavolta, mantiene e cura di notte e ogni notte. Piantano erba sulla sabbia del deserto. Erba che con quel caldo infernale si brucia e va rimpiazzata dopo pochi giorni. Lo spettacolo dell'erba verde smeraldo e dei fiori non finisce mai. Alimentato con irrigazioni costanti grazie a giganteschi impianti di desalinizzazione, che rendono l'acqua del mare dolce quanto basta.
Il taxi ha i sedili di tessuto rivestiti di plastica trasparente e spessa, come i copritovaglia da giardino, fa sudare la schiena mentre il resto del corpo congela. I pachistani tengono l'aria condizionata a tutta canna , questi condizionatori sono delle bombe con scambiatori di calore a piastre sotto il pianale dell'auto per far fronte ai cinquanta gradi all'ombra e 80% di umidità, la botta termica che ricevi quando sali è veramente forte.
"My friend, could you please set the cooling down? Am gettin'sick!"
E lui urla "What? No understand, pakistani pakistani!"
"Vaffanculo tu e tua madre, ecco, understand my friend!". Semplicemente non gli va di capire.
La radio trasmette in continuazione le litanie dei muezzin e le musiche religiose che loro ascoltano tutto il santo giorno, praticamente senza mai scendere dall'auto.
Il cruscotto lo rivestono con un tappetino che sembra moquette, in genere rosso, o verde, o giallo oro, con lunghe frange e qualche ammenicolo tintinnante. Sul retro dei poggiatesta anteriori ci sono due targhette in arabo e inglese. Una recita: Driver, e riporta il nome e la foto del pachistano, l'altra recita: Owner e riporta solo il nome e il recapito del proprietario arabo del taxi. Un pachistano non possiede un taxi. Lo guida per uno stipendio per il quale noi non metteremmo nemmeno piede fuori dal letto, la mattina, lasciandoci morire d'inedia.
I pachistani cercano di fotterti qualche centesimo facendo sempre finta di non avere il resto. Oppure si rifanno un pò di notte, dopo le 23.00, quando la legge gli consente di disattivare il tassametro e allora il prezzo della corsa va pattuito prima e mercanteggiato sorridendo.
I pachistani, qui, in questa società a compartimenti stagni, fatta di caste, sono l'ultimo anello della catena. Riesco solo ad immaginare i feudi e il medioevo. Ma oggi, i Signori hanno i-Phone in tasca e Panerai al polso e almeno una Porsche Caiman. E posseggono alcuni schiavi dell'era moderna, fra cui, immancabile, una House Maid filippina.
Il pachistano svolta a destra e fa inversione fermandosi sulla collinetta dell'ingresso principale dell'Hilton Corniche Hotel. Metto un pò di monete in mano al taxi driver che ringrazia con un mugugno e gli occhi bassi.
Muskarat apre la porta dell'auto e mi fa scendere. "Good evening Sir, how are You?".
Gli faccio l'occhiolino mentre le pesanti doppie vetrate si aprono sulla concierge di marmo rosa, illuminata da un lampadario di cristallo semplicemente enorme e bellissimo.
Vado di fretta, mi stanno aspettando per la cena.
Saddam, di guardia all'ascensore, mi anticipa e riesce a pigiare la chiamata prima di me.

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