domenica 17 agosto 2008

La ragazza dei conigli















Conosco una ragazza che lavora in un circo.
Nel suo motorhome ci sono drappi hippy, arancio psichidelico, geometrie rotonde di tendine ai finestrini.
Quando non lavora indossa lunghe gonne gitane e camicie di cotone bianco dalla trama fitta, con i pizzi di S.Gallo alle maniche e al colletto.
Camicie della sua amata nonna che non è mai uscita di casa se non per le feste comandate, ma che se avesse potuto, avrebbe anche lei voluto andare via con un circo di passaggio, sposare un domatore armeno di cavalli arabi, farci spesso l'amore, diventare lei stessa domatrice di qualche fiera esotica.
Artisti di circo non si diventa.
Nè viaggiatori del mondo.
Interpreti di nervature di foglia, di ossa di pollo, di fondi di caffè, nemmeno.
Melomani irrequieti, spaventati, stupiti, estasiati dai suoni e dai silenzi della natura e delle persone, non si diventa.
Si è.
Talvolta immoti nel perimetro di una poltrona rivestita di ruvido tessuto, nell'angolo in penombra, con le punte appena, delle pantofole di feltro, illuminate dalla luce che disegna la prospettiva della porta finestra sul pavimento di legno.
Di una stanza al terzo piano. Dentro una vita all’ultima fermata d’ascensore.
Esploratori dell'entropia cosmica, della giungla lussureggiante, misteriosa e pericolosa delle proprie menti. Ci si nasce.
Emilio Salgari ha scritto un'ottantina di romanzi d'avventura, ambientati nei più disparati angoli del mondo, dal Mar dei Sargassi alla Malesia, fino alle rocce rosse e ai deserti dell'Arizona e della California. Ma non si è mai mosso da casa sua a Verona.

Conosco una ragazza che lavora in un circo.
Nel suo motorhome ci sono un certo numero di conigli bianchi che saltano da un mobiletto all'altro, al letto.
Talvolta, se qualcuno la va a trovare, loro abbassano le lunghe orecchie e si mettono immobili, a gruppi di tre, fra le gambe del tavolo e la cassapanca dei costumi.
Possiede alcuni cassetti degli oggetti strani, dove conserva le medaglie vinte sui pattini da ragazzina campionessa, strisce di pellicola impressionata, vibrisse di un vecchio gatto, tappi di penne che non scrivono più, legnetti del pesco e acini di uva americana seccata del giardino dei nonni paterni, penna d'ala d'oca finita mangiata, scatolina di puntine da disegno, scatolina di semi di mela, di pera e d'anguria, scatolina vuota di mangime per pesci da odorare ogni tanto, pezzo di gesso della lavagna rubato in seconda elementare, ritaglio di calendario delle prime mestruazioni, calendario di un anno in cui c'erano soltanto i giovedì. Foglie secche, pietre, perline, bottoni, agendine, bigliettini, pensierini. Lettere. Oggetti dei batticuori.

Conosco una ragazza che lavora in un circo.
A lei piace far finta di essere stata rapita, bambina, da questa eterogenea banda girovaga, strappata ai lussi della sua casa ordinata, alle perlustrazioni nel campo di grano dietro al giardino, al marmo freddo sotto al sedere dei gradini della scala sopra ai ciliegi, al pane e zucchero condiviso con la gallina ingorda, e alle gocce di acqua d'anguria rossa che colavano dalle ginocchia ossute, lungo gli esili stinchi, sui calzini bianchi, nei sandalini di vernice.
A lei piacciono la spensierata inconsapevolezza dei suoi conigli, le lusinghe della Regina di Cuori e del Fante di Spade, le promesse della gente del circo di arrivare, un bel giorno, a Karthoum, erigere campo e tendone ai margini della città. Vedere le donne colore dell'ebano, dalla pelle compatta e senza imperfezioni, figure longilinee ed esili come ombre stirate, scure, nell’orizzonte d’ocra.
Naturalmente lei volteggia al trapezio, altalena dei grandi, dove si sale con la fantasia dei bimbi, dove i movimenti sono calibrati , una pozione di estro, allenamento costante, concentrazione e cuore.
Dove il volo, seppur breve, fra una sbarra e l'altra, è perfetto come quello di un uccello.
Le piace che la guardino, che ammirino la sua leggerezza, le serve compiacere la vista degli spettatori che per quegli attimi volano con lei. Senza invidiarla nè toccarla.

Conosco una ragazza che non conosco.
Conosco certi fiori del giardino dei suoi pensieri, gli oroscopi che trae nelle sere di vento, mare, odore mite di noce moscata.
E' un paradosso sfruttato con frequenza, al cinema, in letteratura.
In certi momenti mi pare di conoscerla talmente bene da non sentire più il bisogno di conoscerla.
D'altro canto, paradosso speculare e rovesciato, vero dolore è quello provocato dal non conoscere una persona che si conosce.
Per esempio una madre che non conosce il figlio che conosce. O una moglie. Che non conosce il marito che conosce.
Che c'è di peggio? C'è da sperare, nel caso, che si abbia l'opportunità di continuare a non conoscere chi si conosce.
A scanso di brutte sorprese.
Conosco una ragazza che non conosco. Ne conosco gli umori e le fantasie.
Ne conosco le debolezze e le contraddizioni. L'arroganza e l'imperio. Ne conosco la generosità e la dolcezza che scorre come un ruscello carsico, sotto uno strato di roccia calcarea .
Quanti fra quelli la conoscono almeno quanto me?
In quanti, dietro falsi sorrisi e ipocriti complimenti la detestano? Non lo so.
E' fragile come ogni donna cui è demandato il dovere di essere forte. Sarai Regina. Che tu lo sia. Di te stessa.
Lei punta alla meta, severa e austera come un Gesuita, dalla fede non negoziabile. Fede di sentimento e di morale.
Architettura di un'esistenza. Che non gli tocchi mai di cadere, sotto l'assedio costante, come successe alle mura di Gerico.

A quanto ho capito, si fa consigliare dalla donna barbuta, che chiama zia ed ha sempre una buona parola e un conforto per lei, nei momenti difficili.
Quando ha paura si fa ritrosa, sfila lungo la linea ideale della recinzione con il collo fra spalle e scapole, come un felino di cui è, sguardo e diffidenza, imparentata.
Gli vogliono sinceramente bene in tanti, ma è dai clown,con le lacrime e i sorrisi dipinti che si deve guardare.
A quanto ne so lavora in un circo, felice della sua casa su ruote, con gli accostamenti hippy, con i suoi conigli bianchi che le tengono compagnia, con i suoi libri e i suoi cassetti delle cose strane.
Viaggia di notte, il carrozzone, che ad ogni mattino, aperta la porta, un nuovo scorcio di mondo possa illuminarne il viso.
Le piace sentire l’odore fresco di sapone del bucato steso ad asciugare, il rumore della pioggia che batte sui finestrini, il tepore delle lacrime calde che sciolgono un nodo e portano via una tristezza o una malinconia.
Come lo scorrere della striscia bianca sull’asfalto porta via da un luogo per una nuova dolce nostalgia.
E che il senso del viaggiare, si sà, sta nel viaggio. Mica nella meta.

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
(Vincenzo Cardarelli)

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