Ci sono state situazioni, a ridosso di momenti difficili, quando certe decisioni si impongono e non c'è compromesso possibile, nelle quali, cinicamente, ci si chiedesse quale fosse l'opzione migliore.
Cinicamente, e con scaramanzia, eravamo concordi che sarebbe stato meglio essere protagonisti di un brutto processo, piuttosto che di un bel funerale. Sono quelle circostanze che la maggior parte delle persone, fortunatamente, non dovrà vivere. Sono circostanze che capitano se fai certi lavori. E' uno sporco lavoro e qualcuno dovrà pur farlo. E giù le maschere dell'ipocrisia, prego. E via i perbenismi, i moralismi. I voli pindarci dei pensieri utopici disancorati dalla realtà. Gli ingenui pacifismi. I viziosi intellettualismi. Aderire al terreno, bisogna. Confrontarsi con la realtà delle cose. Pragmaticamente. In buona fede, contando sui propri princìpi.
C'è gente che pontifica e arieggia il cavo orale, al primo piano, nel salotto elegante, disquisendo e filosofando di morale e del tessuto della tapezzeria, facendo finta di ignorare che altri, silenziosamente, in cantina, spalano merda dalla fossa settica. Per il bene, ignorato, di tutti gli inquilini del condominio. I quali credono che la democrazia sia un bene dovuto, un diritto automatico. Non è proprio così. Siate coscienti, critici con voi stessi, prima di permettervi di puntare un dito. Non avete il dono del diritto di essere moralmente superiori.
Così, caro Stefano, oggi siamo stati al tuo bel funerale.
Avresti potuto lasciare la pelle in altre situazioni, in altri luoghi. Invece te ne sei andato in silenzio, di notte, nel tuo letto. La tua compagna ti ha scrollato ben bene la mattina, per non farti fare tardi al lavoro. Penso che non volesse credere che non c'eri, improvvisamente, più.
La tua compagna che si trova un bel siluro a due centimetri dal culo. Adesso che sei morto, e che la legittima è, per legge, la tua ex moglie. Alla quale pur volevi bene, penso. La quale godrà tutti i benefici. E se sarà magnanima, se si metterà una mano sul cuore, lascierà alla tua compagna almeno il diritto di continuare a vivere nella vostra casa. Altrimenti essa avrà perso, assieme al tuo amore, semplicemente tutto. E si troverà per strada. Son cose di donne, mi viene da dire. Eh già, mi spiace, ai maschi difficilmente succedono queste assurdità.
Caro Stefano, abbiamo litigato spesso. Senza mai portare un rancore. Sempre sapendo, sotto i baffi, di parlare la stessa lingua, di essere fatti della stessa pasta. Di rispettarci. Di capirci con uno sguardo.
Abbiamo lavorato a contatto per molti anni, sapendo di essere sempre parte della soluzione di un problema, godendo della fiducia che altri non avevano, permettendoci sempre di poter dire una parola in più, senza peli sulla lingua. E questo ci ha reso scomodi, difficili. Rispettati.
Le due lunghe file di nastrini sulle nostre uniformi raccontano una storia. Ne siamo orgogliosi.
Dal kosovo al Medio Oriente, le nostre mani, sulle reciproche spalle, per un arrivederci.
La base chiude trenta minuti dopo il decollo, Stefano, come sempre. Questa volta per te.
Ciao ragazzo.
sabato 27 dicembre 2008
martedì 23 dicembre 2008
Natale a vista
Questa immaginetta di un angolino di casa mia con Albero Di Natale su sfondo di strumenti di volo è il mio bigliettino d'auguri per chi dovesse trovarsi a passare di qui.
Auguro a costoro quanta più serenità possibile in compagnia delle persone a cui vogliono bene.
Passato Natale me ne andrò nella mia fredda casa fra i monti per stare qualche giorno assieme a mia figlia che da quando è iniziata la scuola ho visto solo due volte.
Poi, ritornando, dovrò pensare bene se continuare l'avventura di questo blog.
Avevo quasi già mollato là , poi mi sono detto che valeva la pena ritentare una volta ancora.
Tentare val sempre la pena, però bisogna anche prendere atto della realtà delle cose.
E la realtà delle cose sta nel fatto che non ho nessun riscontro.
Checchè se ne dica se uno apre un blog è perchè vuole condividere, interagire in qualche modo, tessere la trama di un dialogo non convenzionale.
Io scrivo per il blog, non per me. Ciò che scrivo per me, resta privatamente mio.
E, insomma, scrivere costa una certa fatica. Perlomeno, a me costa, dal momento che non pubblico, con rispetto assoluto s'intende, pensierini del giorno.
Mi piacciono le scaramucce e, se puntute e argute, anche le polemiche. Detesto questo vuoto spinto con al centro le mie letterine. Insomma, gente, il blog è moribondo perchè non viene praticamente letto da nessuno, forse da una persona o due ma non sono certo nemmeno di quello. Insomma, se le cose stanno così, no, non ne vale più la pena. Lo chiuderò ad inizio d'anno e non se ne parli più. Pazienza!
Un abbraccio agli allievi della squola di volo dal Comandante Jamiro
domenica 21 dicembre 2008
India Romeo India Alpha Lima kiss you goodbye
Stamattina la giornata era una di quelle perfette per volare. Dopo due settimane di cieli neri e pioggia e depressione atmosferica e d'umore.
Mattinata fredda e di cielo serenissimo, ne ho aprofittato per mantenere una promessa e portare un amico in volo.
Destinazione Portorose, Slovenia. Decollo, radiale 332° diretti al VOR di Ronchi, lungocosta, Trieste, cambio con la frequenza di Portorose APP, mare meraviglioso. La signorina in frequenza, con inglese di chiarezza eccellente, ci dice di riportare Capodistria e ci dà le istruzioni di avvicinamento per un lungo finale pista 15. Atterraggio delicatissimo, un'oretta al sole dell'aeroporto ed è ora di tornare a casa.
Questa volta decidiamo di fare una parabola sul mare via Viki (è un punto di riporto a ovest di Trieste e a nord di Portorose) salendo a 2000 perchè, con un solo motore, in mezzo al mare non si sa mai.
Bello bellissimo, tiro anche un paio di virate a 60° con la scusa di far fotografare a Piero un'imbarcazione sotto di noi. Chiaramente, con quell'inclinazione, il corpo subisce un'accelerazione intensa, e se non sei abituato senti lo stomaco scendere nelle scarpe, e non è facile tenere le braccia sollevate per fotografare. Piero è anche lui un pilota ma di ultraleggeri, così aprofitto per ingelosirlo con manovre che il "mio" aeroplano, certificato semiacrobatico, può fare in sicurezza.
Siamo contenti e appagati. Infatti imposto un circuito approssimativo, entro in finale coi parametri sballati e atterro come Paperino nei fumetti: con due bei salti da canguro.
Non lo sapevo ancora che quello sarebbe stato, probabilmente, l'ultimo mio volo con quell'aeroplano. Mi hanno comunicato che l'avrebbero portato da un'altra parte. Non più qui.
L'ho visto decollare, ritornare sulla pista per un ultimo saluto.
Charlie 150, amico mio, fratello. Padre. Meriteresti molto più che queste quattro righe.
Mi mancherai. E già so che mi capiterà, per abitudine, ma voglio sperare anche per affetto, su un altro velivolo di chiamare la torre di controllo con le tue marche, il tuo nome:" Ronchi tower, India Romeo India Alpha Lima, good afternoon..".
Come può succedere, agli inizi, soprapensiero, di chiamare la tua nuova compagna con il nome della tua ex moglie. Chi ne avrà a male non ti ama per davvero.
India Romeo India Alpha Lima, kiss you goodbye, my friend.
giovedì 18 dicembre 2008
Feuchtigkeit -umidità-
Che belle le librerie sotto Natale. A Londra come a Toronto, a S.Maria di Leuca come a Udine. Mucchi, bancali di volumi, ressa di gente fra le pile e alla cassa.
Ebbene lo confesso, non frequento le librerie. Leggo pochissimo. In genere non compro libri. Ho letto tanto in passato. Oggi mi appassiono con la lettura di etichette alimentari, tabelle nutrizionali, in questo sono informato, sosterrei volentieri a tavola un'interrogazione sulla materia, con qualche barattolo o scatolotto scelto a caso da un commensale stupito.
Non frequento le librerie perchè sto male. Appena varcata la porta mi prende un'ebbrezza. Poi una frenesia. Sopraggiunge l'ansia. Mi tocca tacitare l'impellente urgenza di comprare tutto. E' un'esperienza frustrante, come un coito interrotto sul più bello. Le librerie sono luoghi meravigliosi, paesi dei balocchi. La frequentazione delle librerie è uno dei pochi vizi ai quali riesco a non cedere. Agli altri mi abbandono languidamente come una muchaca argentina al suo tanghèro nel caschè finale di un ballo sensuale. Senza riserve.
Della letteratura sono un fedele non praticante. Mi salva dall'inferno, per l'omissione della pratica, una curiosità fortissima che è un dono di natura (leopardescamente matrigna).
Pochi giorni orsono sono entrato nella bella libreria di un grande centro commerciale. Strenne, balocchi, decorazioni, signore e signori eleganti rendevano l'ambiente molto newyorkese. Chiedo l'informazione che mi serve e poi, dato che oramai ci sono, faccio un giro. Mi sento come un cane randagio affamato a cui si spalancano le porte della cella frigorifera, fra quarti di bue appesi, coratelle, trippe, biancostati. Riconosco molti titoli recensiti, altri mi attirano come i feromoni dell'ape regina soggiogano le operaie. Saltabecco senza criterio da un tavolo all'altro. Non comprerò niente, mi dico.
Poi, in lontananza, scorgo al vertice di una piletta leggermente più bassa delle circostanti, una copertina che si alza come la punta della scarpa di Alì Babà, una iperbole modesta ma significativa, che un acuto osservatore, e io mi ritengo un acuto osservatore, non può non notare. Le copertine con le orecchie, (ci ricordiamo le nostre vecchie care maestre, Gelmini ante litteram ?) vengono ai libri sfogliati frequentemente. Sfogliati, ho detto, e non letti. E quando le orecchie vengono ai libri nuovi significa che hanno attirato parecchi curiosoni.
Il libro in questione, fatti cinque passi mi era chiaro, è "Zone Umide" di Fraulein Charlotte Roche. Ahhh ecco l'nteresse, da dove viene. Avevo già letto alcune cose, tutte positive, mani dei recensori spellate dagli applausi, fanno a gara per sdoganare le visioni endoscopiche, i sieri e le secrezioni dall'antro del proibito e elevarle, finalmente, a espressione artistica, pur di non apparire conservatori o bigotti. Personalmente, quel tipo di scrittura, come metodo, mi piace. Mi piace la descrizione analitica, minuziosa, il protocollo anatomopatologico applicato alla scrittura, il processo descrittivo asettico. E' una piattaforma di lancio formidabile per poter poi colpire in profondità le sensibilità e, a volte, le coscienze. Dico questo, perchè mi interesso di bassa macelleria, e perchè devo secernere un muco che mi protegga dalle porcherie che andrò a dire.
La nostra cara Carosella, lei medesima, aveva intinto la sua elegante penna nel calamaio per parlare di questo libro complicato. Complicato da molti punti di vista, anche pratici, quali la sua collocazione nella libreria di casa sotto il naso dei nostri figli adolescenti. Il mio angolo monotematico, dedicato alle turpitudini, è abbastanza in bella vista affinchè mio figlio ne possa usufruire senza troppi sensi di colpa, che sicuramente proverebbe qualora dovesse ogni volta profanare il nascondiglio di papà per leggere le cose tabù. Così, nella libreria Ikea, a fianco di manuali di pilotaggio e strumenti di volo, assieme, trovano posto l'autobiografia di Rocco Siffredi, Tropico del cancro, L'altro lato del sesso, Sguardi di uomo corpi di donna -fenomenologia del seno nudo-, Indovina chi viene a letto (forse il più importante compendio scientifico divulgativo sulle fantasie sessuali), i fumetti di Milo Manara eccetera.
Leggo le prime tre paginette di "Zone Umide" e poi salto alla settantatrè, sono fatto così. Mi sono fatto un'idea, comunque. Mi piacerebbe leggerlo ma non lo comprerò, manterrò fede ai buoni propositi. Ah che belle le librerie inglesi dove puoi tranquillamente sederti sulle poltroncine messe lì apposta per i clienti. Sfogliare o leggere il tuo libro preferito per tutto il pomeriggio e poi decidere se acquistarlo o meno. Anni fa ad Oxford passavo giornate intere in questi luoghi confortevolissimi e silenziosi, con il mio bel mucchio di libri che avevo setacciato fra migliaia, accomodato in poltrona sotto una luce tenue. Ho passato fra le mani quasi tutti i libri di fotografia, quelli di anatomopatologia forense (per un periodo ho avuto la fissa), le pubblicazioni più impensate e strane.
Ci sono molte cose che mi scandalizzano. Ma per lo più non sono quelle che appartengono al comune senso della morale, intesa nel suo senso rigido e anacronistico. Non mi disturba la pornografia, intesa nell'accezione comune e lasciando da parte semantica e etimologia, anzi mi interessa e la frequento, purchè ci trovi qualcosa di stimolante. Penso che, per la gran parte, le si possano attribuire aggettivi come monotona, ripetitiva, meccanica, anerotica, stereotipata. Ma il mare è magno e occorre saperci navigare dentro. Dal punto di vista del vivere, invece, trovo un tipo di pornografia assai interessante: la pornografia intellettuale e sentimentale. Che può avere attinenza pressochè nulla con la sessualità. Dove voglio arrivare?
Tempo fa ho scritto un raccontino breve. Mi frullava nella testa da tempo e una successione di avvenimenti è stato il pretesto per scrivere in un lungo pomeriggio un paio di paginette. E' stato un esperimento non facile. Mettermi alla prova al limite della mia immaginazione. Scrivere una storia pornografica a trecentosessantagradi, portarmi sul baratro. L'ha letta, la storiella, una sola persona e il feed back non è stato positivo, credo che sia rimasta scioccata, per vari motivi. Non è scritta un gran che bene, in effetti, ma quello che mi interessava era il parallelismo fra, come scrissi, "una pratica sessuale estrema e improbabile e una pratica sentimentale, invece, purtroppo, quella sì, assai probabile". Qual'è la vera pornografia? Cosa urta di più? La storia è dura, durissima. La terminologia pure.Può evocare fantasmi, provocare repulsione, eccitazione ma, alla fine, ci sarà la possibilità di raggiungere l'hard core, nel senso di nocciolo della questione passando per il bancone del macellaio? O bisogna per forza rispettare l'etica di buoni-buonini-cattivini sentimenti? L'esperimento mi sembrava fallito e pertanto abbandonato.
Ora esce questa ragazzotta tedesca che sulle sue secrezioni corporee e sulle sue emorroidi costruisce un best seller, vende una montagna di copie, fa parlare di se -complessivamente molto bene- e dal suo sedere i lettori raggiungono l'hard core, il nocciolo della questione narrativa e filologica . Bene benissimo.
Detto che non sono un esibizionista (cioè solo per quel quid che accomuna i bloggers). Detto che nè mi posso o voglio paragonare con la Signorina Roche sul piano artistico. Detto che sono un cialtrone. Detto che provo vergogna (eh sì, da piccolo ho fatto il chierichetto). Però qui si prova che il mio esperimento non era del tutto sbagliato, mi sembra. Vorrei una conferma.
Io vorrei postare quel raccontino. Ma lo farò solo se la maggioranza di quei quattro gatti che leggono il blog (e sono proprio quattro di numero) me lo consentiranno. E mi daranno gentilmente un cenno esplicito. Eppoi un commento che non siano le solite espressioni monosillabiche (e che per quello non pubblico). Il contenuto non è adatto ai minori e, per questo, se lo posto, resterà in evidenza solo per alcuni giorni affinchè possa essere letto e poi rimosso.
Non mi sono mai posto in maniera interattiva sul blog, non ho mai chiesto interazioni. Lo faccio questa volta e potrebbe essere l'ultima (non è una minaccia).
Buon Natale a tutti,
Jamiro
martedì 16 dicembre 2008
Hanna e i suoi fratelli - parte 4/A - (sottotitolo: la luna e la cometa)
Trovare un parcheggio alla distanza minore possibile dalla mia destinazione è un fatto essenziale. I quasi cinquanta gradi di temperatura, l'aria viscida d'umidità, impongono di calcolare bene le distanze da percorrere a piedi. Non è solo questione di sudore che incolla la maglietta alla schiena, le suole di gomma all'asfalto, in un minuto. Sono anche piccole dolorose piaghette che tendono a formarsi sul perineo, nell'afa tropicale che si crea fra le chiappe e lessa le mucose e la pelle là dov'è più delicata. Abluzioni con saponi all'avena colloidale e accurata asciugatura con salviette fresche alleviano il fastidio. Sono il malessere che senti come un mattone sullo sterno, la debolezza fisica che ti affloscia rapidamente. La giornata operosa è un continuo pellegrinaggio fra un ambiente climatizzato e l'altro, collegati da scale mobili che scendono all'inferno e poi risalgono.
Habib Exchange ci è stato consigliato, fra la miriade di altri, per la vicinanza, la relativa facilità di parcheggio in questa città caotica, e per il cambio favorevole.
Mi pagano in Euro, una buona parte direttamente in conto corrente, un'altra in contanti da cambiare sul posto, settimanalmente. Vale anche per gli altri italiani che lavorano qui con me. Io e Little Breast scendiamo dall'auto e zigzaghiamo fra le altre parcheggiate, cercando di raggiungere speditamente il varco che si apre sulla Quinta.
Little Breast è il suo nik name operativo. L'ho conosciuto qui. Romano, prossimo alla pensione, l'hanno mandato per premio. Premio per lui, evidentemente, croce per me che devo assisterlo. E' un bravo diavolo, un pò romanamente sbruffone, ma ha un cuore generoso. Dopo tante battaglie, litigi a voce alta, incomprensioni, devo riconoscerglielo. Dunque, con Little Breast ho diviso per un bel periodo la camera d'albergo e torride notti al lavoro. Il problema è che lui non era minimamente skillato per l'attività che dovevamo svolgere in team. Non sapeva neanche accendere il PC. Inglese zero. Procedure operative zero. Situational awareness zero. Un pesce fuor d'acqua. Nel suo lavoro probabilmente è un mago, anzi, di sicuro. Ma qui siamo contati e lui è un peso piuttosto che una risorsa. Avrebbero dovuto rimandarlo a casa con il primo volo disponibile.Dura da digerire per uno a fine carriera, soffriva come un cane. Ha fatto progressi quasi miracolosi, in qualche modo, alla fine, riusciva a lavorare al PC, limitare gli incasinamenti, mandare baci e abbracci al cellulare, in inglese cuneiforme, ad una puttana siriana conosciuta in un locale.
Io sono il badante di Little Breast. Gli leggo i menù dei ristoranti, lo accompagno al barber shop, lo accompagno ovunque, a fare shopping, traduco tutto. L'handicap della lingua è una spessa barriera fra lui e la città. Una notte mi tocca anche portargli in camera, dietro accorata supplica in ginocchio, con l'occhio umido d'agnello, due -esatto, due- hostess, una ukraina e l'altra turca, una bionda e l'altra mora, tutte due altre tre metri. Ha buon gusto Little Breast. Gli ho chiesto se dovevo rimanere per tradurre gemiti e sospiri e questioni tecniche relative all'amplesso a tre, che pur richiede un pò di disciplina. Mi ha spinto fuori dalla camera con ferma risolutezza. Con lo spazzolino da denti in mano sono salito di qualche piano a farmi ospitare dal buon Lillo, che non mi ha fatto chiudere occhio per il suo russare. Assolutamente scandaloso. Il russare di Lillo.
Little Breast era arrivato in Medio Oriente, qualche tempo prima di me. L'ho trovato gentile e discreto, spaesato, alla ricerca di qualche riferimento certo come chi non è abituato ad essere via da casa, abitudinario come un uomo sposato da trent'anni. In effetti è stato sposato almeno trent'anni, i figli cresciuti, la moglie l'aveva lasciato da poco e, nonostante le speranze di lui, dai suoi discorsi traspariva, inconsapevolmente, la certezza che non sarebbe più tornata. Le mogli ci mettono trent'anni a decidere, talvolta, poi non tornano proprio più. I messaggi che lei avrà mandato, i discorsi, le preghiere, saranno scivolati sulle abitudini di lui, fondate sulla certezza che lei c'era, ci sarebbe sempre stata, e dove mai avrebbe potuto a andare cinquant'anni suonati?. Da sua madre. Sarebbe andata da sua madre. E buonanotte al secchio.
E lui era avvilito. Tagliato fuori dalla vita. Per aver vissuto, parallelamente a quella vera, la vita virtuale del matrimonio, della sicurezza delle abitudini, della certezza del piccolo mondo familiare, senza mettersi in gioco più. Quando questo piccolo castello si disfà, il mondo là fuori fa davvero paura. Fiumi senza ponti. Strade senza indicazioni.
Gli ho detto:"no, guarda, tu conciato così con me non esci". Gliel'ho detto con affetto, nonostante lo conoscessi da un paio di giorni. Siamo risaliti in camera a setacciare il guardaroba. Si era presentato con una camicia scozzese da boscaiolo, intruppata dentro jeans ascellari, mocassini ai piedi. No, guarda, così va benissimo se mi vieni a trovare fra le mie montagne, nella mia terra rurale e concreta. Qui devi aggiungere l'effimero, sforzarti di sentirti figo e dinamico. Così diventerai figo e dinamico che è quel che sei, se vuoi. Nel giro di qualche mese, grazie alle frequentazioni di giovani colleghi, nuove amicizie, un rinnovato senso di self confidence, Little Breast è diventato irriconoscibile. Il beniamino di tutti. Uomo alla gran moda, ciondoli al petto, camicie aperte fatte su misura da Select Tailor, il nostro sarto indiano sosia di Omar Sharif, jeans rotti, flip flop di cuoio, abbronzatura alla Briatore. Soprattutto sicuro di sè, spavaldo. La figlia venuta a trovarlo, scesa dal taxi si è messa le mani nei capelli: "no papà, non puoi essere tu!".
Questa tirata a lucido esteriore si era sommata alla sedimentazione stratificata di un'educazione d'altri tempi che lo rendevano un Gentleman. Puttane a parte.
Per dire il vero, mi aveva confidato che non faceva l'amore da tre anni. Abbiamo convenuto, unanimemente, fra colleghi, che gli ci voleva una scopata con i fiocchi, per scrollarsi di dosso tristi fantasmi e ragnatele. E, essendo il mercato del sesso, negli Emirati, un'industria così fiorente da venire subito dopo petrolio, oro e pietre preziose, venute meno le sue comprensibili remore, dopo un pò, Little Breast ha dato inizio a una stagione degli amori, seppur mercenari, degna di un Re della Foresta.
La bella signora turca che gli fece visita la prima volta, the very very first time, che accompagnammo fin sulla porta, e alla quale era stato richiesto di essere soprattutto gentile, andandosene, riferì che lui era stato dolcissimo. Che il rapporto si era concluso in cinque minuti. Ma che poi lui l'aveva abbracciata e accarezzata fra i capelli fino ad addormentarsi entrambi. Da lì a breve capimmo di aver liberato dalle catene un mostro. Mi ha confidato qualche mese fa, a distanza di tanto tempo, di aver vissuto laggiù l'esperienza più bella della sua vita. Il caro amico Daniele, che l'ha visto di persona, mi ha detto, con una vena triste nella voce, che Little Breast, purtroppo, è un pò regredito. Ha riacquistato alcuni degli anni di vita di cui si era faticosamente liberato. Il ritorno alla vita normale, quando torni dallo spazio siderale, non è mai indolore.
Ad ogni modo non mi piaceva dover cedere la camera ad ogni piè sospinto, cercare ospitalità altrove, far cambiare la biancheria a Mùstafa nel dubbio, dopo aver trovato una volta un perizoma abbandonato fra le mie lenzuola. E poi, anche senza le amichette di Little Breast, non mi era facile riposare. Lui russava. Mi svegliavo e nella penombra vedevo la luna fosforescente stagliarsi sul candido copriletto di morbidissima piuma del letto a fianco, nella nostra king size room. Era il culo tondo di Little Breast che aveva preso a dormire nudo.
Visione angosciante. Ti prego mettiti le mutande.
Niente da fare.
Allora gli ho raccontato la storia.
L'ho raccontata a tavola in un dopocena rilassato, affinchè potesse essere ancora più subliminale il messaggio che stavo inviando.
La storia è storia di gioventù, avevo vent'anni. Ero innamorato di una ragazza, che poi ho anche sposato, e che si trasferì per lavoro a Lugano. Io lavoravo a Treviso e facevo la spola con Lugano ogni week end. Padova Vicenza Verona Bergamo Milano Varese Chiasso Lugano andata e ritorno. E nel mezzo baci, coccole, notti insonni, discorsi, far l'amore a spron battuto, dormire neanche a parlarne. Una faticaccia. Tanto che, ad ogni ritorno mi ripromettevo, risoluto, la prossima settimana no, riposo. Il buon proposito rimaneva solido fino al martedì. Poi cominciavano ad insinuarsi la pulce del dubbio, il tarlo del desiderio. La voglia di riabbracciarla. Venerdì partivo per Lugano facendo fischiare le gomme. Once again.
Fu in uno di questi ritorni, sarà stato la fine di un giugno caldissimo, che successe il fatto. Tornai distrutto. Arrivai nell'alloggio che condividevo con Vincenzo verso le nove di sera e stramazzai sul letto forse ancora vestito o quasi, lasciando la borsa tale e quale sul pavimento. Vincenzo è un giovanottone simpaticissimo, bello tondo e con il faccione che praticamente è John Belushi sputato. Siamo amici. Torna anche lui dal week end fuori, la domenica sera tardi. Lo sento anche per un attimo, accende la luce, mi vede nel letto e, con grande senso dell'educazione, rispegne subito. Fa le sue manovre al buio e si mette a letto, lenzuolino di cotone, finestra aperta. Afa che il Sile a pochi metri di distanza, non mitigava affatto. Io dormo come un sasso.
E poi sogno
Sogno da stanchezza. Sogno che lì nella stanza, nell'altro letto, nuda, c'è la mia ragazza. Incoscientemente mi alzo. Mi denudo completamente. Con il turgore dei miei vent'anni che puntava irriverente al soffitto, come un Moschetto da Balilla. Circumnavigo il mio letto diretto dalla mia amata. Ne sento il profumo della pelle, ne assaporo già il sapore, il suo desiderio caldo e umido. E' un momento bellissimo. Alzo il lenzuolino per sdraiarmi al suo fianco e abbracciarla. La voce tremula e fioca di Enzo rompe l'incanto: "che cazzo fai?". Enzo dalla paura ha assunto la posizione fetale, è rimpicciolito fino quasi a scomparire nel letto. Io ricordo un'angoscia che mi assaliva dallo stomaco e saliva sù. Cercavo di capire cosa stesse succedendo. In piedi, nella notte della stanza, la mia figura e quella del mio pene proiettavano un'ombra mostruosa e irreale contro il muro illuminato dalla luce della luna. Avrei voluto sprofondare. Ma, ne sono certo, quell'erezione impudica, mi avrebbe impedito perfino quest'uscita di scena indecorosa, come fosse un ramo proteso sulle sabbie mobili.
Enzo è un amico, gli offro caffè da vent'anni, per comprarne il silenzio.
Da quel racconto, da quella confidenza rivelata, Little Breast, uomo d'altri tempi, legato alla tradizione e rispettoso, della leggenda e vieppiù dell'epica, si è rimesso indiscutibilmente le mutande.
giovedì 11 dicembre 2008
Mi Ritorni In Mente Habib
La squola di volo, dopo un avvio promettente, ha rischiato di chiudere i battenti.
Colpa della recessione.
Recessione della mente negli anfratti profondi.
Segno negativo del PIL dello stimolo.
Amnesia e distrazioni.
Pericolo di DEFAULT, la parola terrorifica dei mercati della finanza creativa. Fallimento.
Il termine creativo mi dà piuttosto noia, come un foruncolo sul culo. Così m'annoia la cucina creativa. Coi gusti strani, obbligatoriamente strani, è facile nascondere le magagne. Chi può dire che dietro la ricetta thaitiana non si nasconda una porcata raffazzonata?
Chi mi vuole sfidare lo faccia con i ravioli di magro fatti in casa. Non con le cagate creative.
Comunque, il pericolo, aihmè, non è del tutto scongiurato.
Anche quei pochi allievi del corso di volo erano distratti. Non capivano, infine, che prima di mettere mano alla cloche, bisogna studiare la teoria, venire preparati alla lavagna.
Fare tesoro, e anche critica, di ciò che l'istruttore dice.
Partecipare alle lezioni.
E la mia aula era miseramente vuota.
Ma non ci sono cattivi allievi, solo cattivi istruttori.
Quindi mi devo assumere le mie responsabilità.
Oggi, però, un segno.
Dopo una lunga notte al lavoro, stamane, già in pigiama, sono uscito sul balcone, berretto di lana ficcato sulle orecchie, caffè riscaldato e sigaretta.
Guardavo semplicemente la pioggia cadere.
Non pensavo a niente.
Poi, di colpo, Habib.
Mi sono sforzato tutta l'estate di ricordarmi il nome del cambiavalute sulla quinta strada, ad Abu Dhabi, dove lavorava Noemi.
Non c'era verso. Non avrei scritto di Noemi, allora.
Habib Exchange. I got it.
Beh è un segnetto. Forse scrivo forse.
Colpa della recessione.
Recessione della mente negli anfratti profondi.
Segno negativo del PIL dello stimolo.
Amnesia e distrazioni.
Pericolo di DEFAULT, la parola terrorifica dei mercati della finanza creativa. Fallimento.
Il termine creativo mi dà piuttosto noia, come un foruncolo sul culo. Così m'annoia la cucina creativa. Coi gusti strani, obbligatoriamente strani, è facile nascondere le magagne. Chi può dire che dietro la ricetta thaitiana non si nasconda una porcata raffazzonata?
Chi mi vuole sfidare lo faccia con i ravioli di magro fatti in casa. Non con le cagate creative.
Comunque, il pericolo, aihmè, non è del tutto scongiurato.
Anche quei pochi allievi del corso di volo erano distratti. Non capivano, infine, che prima di mettere mano alla cloche, bisogna studiare la teoria, venire preparati alla lavagna.
Fare tesoro, e anche critica, di ciò che l'istruttore dice.
Partecipare alle lezioni.
E la mia aula era miseramente vuota.
Ma non ci sono cattivi allievi, solo cattivi istruttori.
Quindi mi devo assumere le mie responsabilità.
Oggi, però, un segno.
Dopo una lunga notte al lavoro, stamane, già in pigiama, sono uscito sul balcone, berretto di lana ficcato sulle orecchie, caffè riscaldato e sigaretta.
Guardavo semplicemente la pioggia cadere.
Non pensavo a niente.
Poi, di colpo, Habib.
Mi sono sforzato tutta l'estate di ricordarmi il nome del cambiavalute sulla quinta strada, ad Abu Dhabi, dove lavorava Noemi.
Non c'era verso. Non avrei scritto di Noemi, allora.
Habib Exchange. I got it.
Beh è un segnetto. Forse scrivo forse.
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